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[RECENSIONE]: Il Piccolo Principe

Recensione a cura di Irene Rosignoli e Lorenzo Dottorini.

Il film, che noi abbiamo visto in anteprima italiana a Lucca Comics & Games 2015, uscirà in Italia il 1 gennaio 2016 distribuito da Lucky Red.

 

Ci sono progetti che sono prima di tutto enormi, enormi rischi. Come si fa ad adattare per il grande schermo Il Piccolo Principe, un romanzo che è sostanzialmente privo di un vero e proprio intreccio e che si basa tutto sulla sua morale? Come si fa a modellare dei personaggi credibili in CGI, sapendo di dover rispettare il look e il cuore degli acquerelli con cui lo stesso Saint-Exupéry ha abbellito la sua opera? Il Piccolo Principe era un’impresa impossibile: troppa fedeltà al materiale originale avrebbe creato un film senza trama, forse poco appetibile per un pubblico moderno; poca fedeltà avrebbe snaturato completamente il fortissimo messaggio per cui il romanzo è diventato tra i più celebri di tutti i tempi. La sfida è stata raccolta (e vinta) da Mark Osborne, due volte nominato agli Academy Award, appassionato di stop motion e da sempre legato alla favola del Piccolo Principe.

Leggi la nostra intervista al regista

La mossa vincente che ha permesso al regista di realizzare l’impossibile è stata quella più pericolosa di tutte, quella che rischiava di scontentare maggiormente i lettori del romanzo originale. Sì, perché Il Piccolo Principe di Osborne non è affatto la storia del Piccolo Principe. Il protagonista non è il bambino dai capelli color dell’oro, né tantomeno l’aviatore che si smarrisce nel deserto del Sahara, ma una bambina di circa undici anni chiamata semplicemente “Little Girl”, ragazzina. La piccola vive in un mondo in cui tutto è omologato e basato sui numeri: non c’è spazio per il gioco o la fantasia, ciò che conta è avere una brillante carriera scolastica e poi lavorativa. Per poter garantire un futuro degno di chiamarsi tale a sua figlia, la madre le organizza letteralmente ogni minuto di vita tramite una rigidissima tabella di marcia, che seguita alla lettera le permetterà di essere ammessa alla prestigiosa Werth Academy alla fine dell’estate. Qualcosa andrà storto quando la bimba conoscerà il bizzarro vicino di casa, che altri non è che l’Aviatore del romanzo originale, da molti anni intento a cercare in lungo e in largo una persona a cui trasmettere la storia del Piccolo Principe.

Ciò che fa Osborne con il romanzo di Saint-Exupéry è l’Adattamento con la A maiuscola. Non quello che traduce immagine per immagine il materiale di partenza sullo schermo, ma quello che ne cattura l’essenza, il messaggio più profondo, per poi calarlo nel vissuto degli spettatori. O molto più semplicemente, citando il regista stesso, si è trattato di proteggere il libro, preservarne l’anima e renderla così universale da permetterle di esprimersi non soltanto nei confini degli episodi narrati tra le pagine.

Little Girl è sì un personaggio a 360°, ma non è un’eroina: il pubblico empatizza con lei perché lei è tutti noi. È la nostra solitudine e la nostra ricerca d’affetto, la consapevolezza che forse è troppo tardi per rimediare, la curiosità, la meraviglia, la gioia di vivere e di apprendere. La sua “rinascita” avviene in parallelo alla narrazione della storia del Piccolo Principe fatta dall’Aviatore. Le vite di tutti i personaggi messi in scena si intrecciano per poi culminare in un climax a metà tra sogno e realtà, che ci offre un possibile seguito delle vicende del libro, immaginato dalla Ragazzina. Ella stessa, personalmente, dovrà iniziare a proteggere il suo Piccolo Principe. Nell’universo, perché parliamo letteralmente di pianeti, creato da Saint-Exupéry, Osborne ritaglia un piccolo spazio per un mondo oscuro, nel quale si è tutti troppo impegnati a essere adulti o al diventarlo che non si ha tempo per ricordare.

Proteggere il Piccolo Principe significa proprio questo: non smettere di crescere, ma ricordare di essere stati bambini, di aver creato legami sinceri con gli altri, di essere rimasti estasiati davanti a ciò che di bello si presentava ai nostri occhi, di aver guardato la bellezza delle stelle. Sarà su quello strano pianeta che la nostra protagonista e il suo Principe potranno finalmente deviare il corso della loro esistenza vissuta all’ombra della Werth Academy e di tutto ciò che essa rappresenta, così come lì tutti i personaggi incontrati in precedenza e uniti nell’oblio della loro fanciullezza, potranno liberarsi e  finalmente, crediamo, liberare anche lo spettatore. Lì tutti riusciranno a ritrovare l’essenziale: non quello che si ha la pretesa di insegnare, quello “invisibile agli occhi”.

La pellicola di Mark Osborne non è solo grandiosa per come riesce a sintetizzare l’essenziale del Piccolo Principe; è anche confezionata con estrema cura, segno dell’amore del regista per questa favola. Sicuramente ciò che vale la pena menzionare per prima è la compresenza di ben tre tecniche d’animazione: CGI, disegno a mano e stop motion. L’abilità del regista di utilizzare a proprio vantaggio i pregi e i limiti di ogni tecnica è straordinaria. E così, la CGI, che ha dalla sua parte le forme e la geometria, è utilizzata per creare il mondo rigido e squadrato in cui vive la piccola protagonista. La stop motion, che per una volta non coinvolge pupazzi ma ricrea degli incredibili set completamente fatti di carta e cartone, viene scelta per realizzare il mondo del Piccolo Principe, e anche dell’immaginazione di Little Girl mentre ascolta la sua storia. Infine, il disegno permette alle pagine di Saint-Exupéry di prendere letteralmente vita nelle mani dei due protagonisti. Il tutto è impreziosito da una colonna sonora delicata e ispirata alla musica francese, composta da Hans Zimmer e arricchita dalla magica voce della cantante Camille, di fatto un ulteriore strumento nell’orchestra, che dà anima ai sentimenti della bimba.

Il Piccolo Principe è anche una storia sull’importanza di raccontare storie, e in particolare su quanto sia fondamentale scegliere di raccontarsi alla persona giusta. L’Aviatore è considerato un pazzo, nessuno riesce davvero a capire fino in fondo la sua favola, e deve quindi attendere anni prima di individuare finalmente la Ragazzina, il cui Piccolo Principe non ha avuto molto tempo per essere un bambino, ma d’altra parte non si è nemmeno completamente arreso al dimenticarsi di se stesso. Un’ “allieva” che ha la giusta sensibilità per poter comprendere ciò che lui ha da insegnarle, ma che soprattutto sarà in grado di interiorizzare quel messaggio per poterlo trasmettere alle generazioni future. Solo in questo modo (e con un pizzico di fede) Il Piccolo Principe continuerà a ridere sul suo pianeta. E noi tutti riusciremo a udirne le risate ascoltando e guardando la volta celeste, proprio come l’Aviatore.

Irene Rosignoli:

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