Non è quella Alice. Oppure lo è? Questo dubbio è stato uno dei perni centrali di Alice In Wonderland. Dopo sei anni, con Alice Attraverso lo Specchio, sequel del film di Tim Burton, entriamo di nuovo in sala per tornare nel Sottomondo… ma non è il luogo che ricordavamo, tanto meno quello descritto da Lewis Carroll. E fin dai primi attimi la domanda che sorge spontaneamente è… è quella Alice oppure un’altra?
Probabilmente né l’una né l’altra. Alice Attraverso Lo Specchio è un ibrido fra ciò che l’iconico regista aveva lanciato anni fa, cambiando il modo di vedere il mondo oltre il buco del proprio giardino, e la visione sfavillante, sgargiante ed euforica di James Bobin, il regista della pellicola che ha sostituito Tim Burton. Questo forte cambio di timone destabilizza l’universo meraviglioso che già conoscevamo e le direzioni del regista, conosciuto di recente per Muppets Most Wanted, non riescono ad accompagnare lo spettatore in questo mondo che ci appare quasi nuovo, a farci capire le nuove dinamiche che lo governano e le differenze createsi da quando Alice l’ha lasciato per l’ultima volta. Tuttavia, la struttura del film, stavolta sembra omaggiare il Classico Disney del 1951, se non per alcune parentesi… temporali, che alla fine rendono vano questo parallelismo che si voleva creare.
Solitamente i secondi capitoli sono noti e creati apposta per ampliare un mondo già visto e consolidato, oltre che per far conoscere nuove sfaccettature dei personaggi già incontrati. Alice Attraverso Lo Specchio riesce a mettere in crisi ciò che si conosceva, inizia le proprie vicende come avvenuto con il film del 2010 e le chiude senza lasciare la possibilità di un terzo capitolo, fallendo così anche l’idea di creare un universo fantastico distinto dai libri ma con forti personaggi. I comprimari come la Regina Bianca, la Regina Rossa, Pinco Panco e Panco Pinco, Lo Stregatto o il Leprotto sono sempre gli stessi grazie all’impatto visivo che vantano, dato che le loro interazioni sono ridotte al minimo. Il Cappellaio, nonostante mostri il meglio di Johnny Depp fra tenerezza e dispiacere, e la Alice, maturata e interpretata da Mia Wasiwoska, sembrano tuttavia essere un ricordo salutato con l’omonimo brano di Avril Lavigne che chiudeva il primo capitolo. Questo non per una regia poco incisiva ma almeno fluida, bensì per una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti firmata da Linda Woolverton (forte del successo, se così lo si può definire, di Maleficent – Il Segreto della Bella Addormentata). Il senso di azioni e personaggi pare talvolta incomprensibile, non motivato a sufficienza o per nulla. L’unica gradevole novità introdotta risulterà essere il Tempo interpretato magistralmente da Sacha Baron Cohen. I temi che porta con sé questo nuovo personaggio sono ben sviluppati durante le vicende che Alice vivrà e conclusi in quello che sembrava un primo finale (e che purtroppo si rivela non essere). Impossibile, poi, non citare la bellissima apparizione di Andrew Scott, purtroppo troppo fugace, come la stessa durata del film.
Era evidente come ci fosse il tentativo di creare un universo narrativo fantastico, come avvenuto per Pirati dei Caraibi o altri franchise, ma la sfida è stata persa in partenza. Almeno in termini di critica, sarà l’incasso a parlare.
Impeccabile, senza dubbio, il comparto tecnico e un Danny Elfman riconoscibile nelle melodie del primo film, giustamente riutilizzate, e meno nelle nuove introdotte.
Dunque, sulle note di Just Like Fire di P!nk, non possiamo sperare che questo tentativo bruci e sfumi come un lontano ricordo, come un fuoco, ridando Alice e il suo meraviglioso mondo a Lewis Carroll e salutando con un triste addio questo Sottomondo travagliato e esasperato.