Anche chi non conosce il background di Glen Keane, fin dai primi istanti di Over the Moon avrà la sensazione di trovarsi su un tracciato familiare. L’impronta Disney è infatti forte fin dal prologo, figlio di una tradizione portata all’apice da classici come Il Gobbo di Notre Dame e Tarzan. La leggenda della dea della Luna Chang’e, la storia della famiglia di Fei Fei, la malattia della madre e la crescita della ragazzina ci vengono raccontati con nient’altro che un connubio di immagini e musica, a ricordarci fin da subito che siamo nelle mani dell’artista che trent’anni fa diede vita alla sirenetta Ariel.
Di certo, per chi invece Glen Keane lo conosce, trovarsi davanti a un lyrical storytelling del genere e sapere che non ha potuto realizzarlo in Disney, dove in fondo appartiene, è un po’ un colpo al cuore. Ma poco male, perché ogni progetto realizzato da questo grande Artista a partire dal suo addio alla Casa del Topo è stato un piccolo gioiello, e il suo debutto con un lungometraggio non fa eccezione.
Over the Moon, così come Klaus prima di lui, fa propria una lezione importante: per costruire una buona storia non occorre essere originali, occorre essere autentici. È un modo di fare cinema ormai quasi raro, appartenente alla generazione di Glen Keane, ed è qualcosa a cui lo spettatore moderno, abbagliato da trame contorte, plot twist, cattivi a sorpresa e un trionfo di VFX, probabilmente non è più abituato. In altre parole, nulla di ciò che accade alla protagonista Fei Fei è di per sé fuori dall’ordinario per lo spettatore avvezzo alle classiche storie per ragazzi, e dunque la maestria del narratore sta piuttosto nel come e nella capacità unica di prendere per mano chi guarda e di accompagnarlo attraverso sentimenti genuini, mai artefatti. Accadeva lo stesso con Ariel e con la Bestia: personaggi non complessi, ma vivi, veri.
L’eleganza è poi il marchio di fabbrica di Glen Keane, che qui riesce a imprimere il suo tocco unico anche a un mondo in CGI, tecnica con cui finora si era confrontato solamente in Rapunzel – L’intreccio della torre. Elegante è il production design di Celine Desrumaux, che con la sua Lunaria costruita soltanto da macchie di colore, forme basiche e luci psichedeliche ci regala un’apprezzatissima boccata d’aria fresca rispetto al fotorealismo a cui ci stiamo apaticamente abituando. Elegante è l’animazione di Sony Imageworks che, guidata dalla matita di Keane, esagera le pose ed esagera l’espressività, lavorando con intelligenza su modelli dal budget contenuto (l’espressione ferita della dea Chang’e durante l’incontro con Houyi è davvero notevole). E infine, eleganti sono le scelte stilistiche, che riescono a rendere coerenti e visivamente appealing persino quei momenti inseriti palesemente per fare presa su un certo tipo di pubblico, come un concerto K-pop o una rap battle durante una partita di ping pong. Roba che istintivamente farebbe storcere il naso a chi non conosce la cultura pop orientale, e che qui invece riesce paradossalmente ad essere non solo funzionale, ma anche piacevole alla vista.
Non tutto funziona, in Over the Moon, questo è chiaro: l’umorismo zoppica, le spalle comiche non sono particolarmente ben riuscite, la colonna sonora è dimenticabile, qualche momento avrebbe forse richiesto maggiore respiro. Ma nel complesso siamo davanti a un’ottima prova sia per Keane che per Netflix Animation, che finora non ha sbagliato un colpo nel suo ambizioso progetto di portare in streaming contenuti d’animazione d’autore. La prossima volta, però, più sequenze 2D: quei pochi secondi all’inizio (animati proprio dal regista stesso) ci hanno lasciato fame di bellezza.