Dal 25 ottobre sarà nelle sale italiane Thor: Ragnarok, il terzo capitolo della trilogia dedicata al Dio del Tuono dei Marvel Studios.
Di seguito la nostra recensione dedicata al film prodotto dalla Casa delle Idee.
Dove eravamo rimasti?
Thor: Ragnarok è un film che rispetto alle precedenti opere dei Marvel Studios non perde tempo e fin dal proprio inizio, ben prima di farci capire quale sarà la storia che vorrà raccontarci, ci mostra in successione una serie di scene dal montaggio serrato che rispondono a tutte le domande lasciate insolute o a una serie di eventi visti precedentemente in altri film della Casa delle Idee, facendoci ridere più di una volta.
E se questo è un ottimo proposito che il regista Taika Waititi si è preoccupato di portare avanti nelle prime pagine di copione, tra una battuta e l’altra, con il proseguire della storia quelli che sembravano punti di forza diventano ostacoli.
Questo, chiaramente, accade perché stiamo parlando di un film dedicato a un Dio del Tuono e non a un gruppo di Anti-Eroi senza alcuna responsabilità.
Una volta giunti all’inizio della vera storia di Thor: Ragnarok ci sarà chiaro che questo stile narrativo sarà mantenuto fino alla fine, salutando il connubio tra l’empatia e le composizioni scenografiche ispirati a Shakespeare che Kenneth Branagh aveva portato avanti nel primo film (e che in parte abbiamo visto anche nel secondo, nonostante il cambio di regia e una dose maggiore di ironia). Ci dovremo così di fronte a qualcosa di già mostrato in un Guardiani della Galassia (e non solo per quanto riguarda i testi).
Ma se nel film di James Gunn queste scelte caratterizzavano la pellicola garantendole originalità e ben due seguiti, qui il risultato è ben diverso.
Il cambio di stile, non solo in termini di toni bensì visivo, è stato deleterio. Non esistono più contrasti tra colori chiari e scuri, solo un’eccessiva saturazione di rossi, verdi e viola, negli ambienti quanto negli abiti e nel trucco, distruggendo ciò che era stato creato precedentemente da ben due film.
Stessa sorte avrà la colonna sonora, questa volta di Mark Mothersbaugh, che nonostante il tentativo di adattarsi di scena in scena con i predenti brani (da quelli composti da Patrick Doyle a quelli da Alan Silvestri), sarà sottomessa prepotentemente spinta dalla forza di The Immigrant Song dei Led Zeppelin (usata non in una ma in ben due scene).
La presenza di draghi incendiari, lupi giganti, demoni infuocati e guardiani fuggitivi, purtroppo, non basterà a dare al film il senso di “nordico” che caratterizza i racconti del Dio del Tuono distinguendoli da qualsiasi altra opera firmata Marvel Studios.
Il triangolo formato da Thor, Loki & Odino che ha sempre caratterizzato i precedenti film della trilogia e che segue le vicende familiari dei reali di Asgard, con l’ingresso di Hela (e Skurge) non avrà vita semplice e sarà facilmente spezzato e messo in secondo piano dalla storia che, come se fosse contenuta da un Ragnarok che non vedremo mai davvero, ci mostrerà il grande Hulk che non poteva esser in alcun modo raccontato se non come comprimario (per questioni di diritti).
Per quanto l’arco narrativo dedicato allo scontro tra i due titani sia ben strutturato, tenti di rispondere alla fatidica domanda “Chi è il più forte degli Avengers?” e ci faccia conoscere due piacevoli personaggi come Il Gran Maestro e Valkiria, porta al film solo ottime scene d’azione in parte già mostrate in trailer e materiale promozionale confermando una quasi totale assenza di pathos.
Inoltre, occupando molto spazio la vicenda ispirata da Planet Hulk rispetto alla durata complessiva del film, la sete di vendetta e rivalsa che sarà presente ad Asgard è chiusa rapidamente tra segreti, rivelazioni e seconde possibilità che potevano offrire molto di più, con personaggi interessanti e repentine morti, e non solo pugnali volanti e saette luminose godibili se vedrete il film in 3D.
In conclusione:
Thor: Ragnarok è dunque un film che vuole compiacere la massa snaturando la natura stessa del Dio del Tuono, portando una tavolozza di colori, dell’ironia e dei personaggi che oscurano la magia e il pathos che la mitologia nordica poteva offrire e che in questo film restano solo accennati. Tecnicamente impeccabile come ogni film dell’universo narrativo dei Marvel Studios, la pellicola risulterà, però, un assemblaggio di un qualcosa già visto, per quanto bene possa esser stato fatto.
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