Siamo felici di presentarvi in esclusiva una parte dell’intervista al regista Brad Bird (Gli Incredibili, Ratatouille) realizzata da Ron Barbagallo per la serie Lost and FOUND della Research Library di Animation Art Conservation. Abbiamo già ospitato in passato un lavoro di Barbagallo, direttore dell’associazione già nominata che si occupa di restaurare e preservare gli artwork originali dei film d’animazione, in merito alla sua ricostruzione del cortometraggio di Salvador Dalì Destino, del quale sono stati ritrovati dei disegni inediti.
Questa volta vi proponiamo invece la sua intervista al celebre regista Pixar, risalente a dieci anni fa e mai pubblicata (da qui il nome della serie Lost and FOUND), incentrata sugli inizi della sua carriera e sulle difficoltà incontrate nel suo percorso prima di vincere l’Oscar per Gli Incredibili e Ratatouille.
Abbiamo realizzato la traduzione italiana solo di una parte dell’intervista, per leggerla completa visitate il sito di Animation Art Conservation.
Sei giovane. Appena uscito dal college, nei tuoi vent’anni, pieno di speranze e sogni di fare il regista. Ti sei guadagnato il tuo primo lavoro da adulto a uno dei grandi studi e non potresti essere più emozionato. Hai aspettato tutta la vita per questo momento, e ora il tuo luogo di lavoro ti sembra ostile in maniere che non avevi mai sperimentato al college. Ti sembra che i tuoi colleghi siano minacciati da ciò che fai. Gelosi della tua passione e della tua concentrazione verso un obiettivo, come se farti restare indietro oppure copiare i tuoi lavori in qualche modo potesse far andare avanti loro. Cosa fai allora?
Le aspettative distrutte a Hollywood sono la norma. È qualcosa con cui tutti coloro che hanno talento devono fare i conti nelle loro carriere, e qualcosa che colpisce soprattutto quelli che sono più talentuosi. Per i professionisti dell’animazione che hanno un obiettivo, è un problema inevitabile. Così come lo è imparare a girare attorno a questi ostacoli. Imparare questa lezione si rivelerà più utile di tutto ciò che si può apprendere in un’aula di scuola, e il modo migliore per farlo è osservare le deviazioni nelle carriere di coloro che sono venuti prima. Persone come i registi John Lasseter e Tim Burton, il creatore di Pogo Walt Kelly, il creatore di Dennis la Minaccia Hank Ketcham, lo scenografo e layout designer dei Looney Tunes Maurice Noble e il regista due volte vincitore dell’Academy Award Brad Bird, tanto per fare qualche nome. Ognuno di loro è arrivato alla Disney all’inizio della sua carriera, e ognuno di loro ha dovuto lasciarla per dimostrare il suo vero valore.
Un bivio del genere in una carriera è sempre un momento di crescita, ed ecco perché nel 2007 ho incontrato il regista Brad Bird per parlare dei primi anni della sua carriera e della strada più accidentata.
Volevo sapere come, dopo la sua breve presenza in Disney, un posto che ha lasciato con un’esplosione che ricorda quella di una damigiana d’acqua che rotola giù dalle scale, Brad Bird sia riuscito a ricevere un Academy Award per la sua regia del film Pixar Ratatouille. Questa intervista si concentra esclusivamente sul periodo tra quei due eventi. È stata pensata come un dialogo tra un uomo che restaura le opere d’arte di Disney Animation e un regista che ha “riparato” tantissimi film d’animazione e serie televisive. Un’occhiata a dei problemi fin troppo comuni a Hollywood, l’intervista con Brad è rimasta negli archivi della Research Library di Animation Art Conservation di Ron Barbagallo per una decina d’anni. È la terza pubblicazione della serie “Lost and FOUND” della Research Library di Barbagallo, pubblicata per la prima volta nel settembre 2018.
Buon pomeriggio, Brad. Come va?
Brad Bird: Bene.
Fantastico. Iniziamo subito. La tua carriera è molto interessante ai miei occhi. Quando parlo con gli animatori, o con chiunque lavori in animazione in ruoli che riguardano il design o la scultura, il tuo nome viene sempre fuori più frequentemente di qualunque altro. Quando mi parlano dei loro progetti e delle idee a cui stanno lavorando per i film che vorrebbero fare, mi ripetono spesso che vorrebbero essere come te. Il consiglio che gli do è quello di studiare la tua carriera.
Brad Bird: Wow. Credo sia una cosa pericolosa da dire, perché il mio percorso è stato molto lungo, pieno di delusioni e con tanti ritardi.
È vero, ma è anche ricco di momenti di successo, e penso che molte carriere abbiano i loro momenti positivi e negativi. Hollywood è un posto pieno di persone che presentano progetti, persone che desiderano qualcosa. È anche un posto dove chi è in una posizione di potere prova a escludere e limitare il potere delle altre persone. Ecco perché il mio consiglio è quello di essere consapevoli di ciò che si può chiedere, prima di tendere la mano. Perché se chiedi qualcosa di troppo, probabilmente riceverai uno schiaffo.
Brad Bird: Beh, stai parlando con un tizio che ha chiesto costantemente troppo. Cose che erano considerate folli. Molto tempo fa dovevo fare un film d’animazione sul fumetto di Will Eisner The Spirit, e all’epoca mi fu detto che nessun film animato avrebbe mai fatto più di 50 milioni di dollari e che gli unici che potevano avvicinarcisi erano i film Disney. Questa era la mentalità con cui dovevo confrontarmi e il mio materiale era un fumetto dark degli anni ’40 che non aveva altro che personaggi umani. Un supereroe senza superpotere. Non importava quanto fosse buono il nostro lavoro: stavo cercando di fare un film animato non Disney, e questo era considerato da pazzi all’epoca. E pensare che ciò che stavo proponendo aveva anche un budget ragionevole.
La cosa più facile sarebbe stata fare ciò che fecero molti dei miei amici, ovvero andare in uno studio come la Disney, essere un co-regista e mettersi a fare i progetti che la compagnia era interessata a produrre, cioè le fiabe con le canzoni.
La mia strada ha richiesto molto più tempo per avere anche solo una chance di dirigere un film. E per ogni buon progetto che ho realizzato, ce ne sono altrettanti ugualmente buoni che sono rimasti negli archivi di vari studi. Perciò ci penserei due volte prima di chiamarmi un’ispirazione, perché ho intrapreso un percorso veramente difficile.
Parliamo di questo percorso. Ti trovavi alla Disney nei primi anni della tua carriera e poi te ne sei andato. Poi mi ricordo di aver visto il tuo nome in un episodio di Amazing Stories chiamato Family Dog. Come sei arrivato a quell’episodio?
Brad Bird: Dunque, quando ho capito che la Disney non era esattamente il luogo che pensavo che fosse, mi sono trovato davanti a due alternative. La prima era smettere di fare animazione e iniziare a fare il normale live action, e l’altra era tentare un’ultima volta di realizzare i progetti che volevo fare in animazione e sperare di trovare qualcuno interessato a finanziarli. Ho scelto la seconda. Ho preso tutti i soldi che avevo in banca e ho fatto un piccolo corto di prova che ho intitolato Un Portfolio di Idee. Aveva dentro The Spirit, Family Dog e qualche altro progetto.
Tim Burton ha realizzato i design per Family Dog, un piccolo corto in 16mm, praticamente a livello di un pencil test. Parte di esso aveva degli artwork a colori con la telecamera che ci scorreva sopra mentre una voce descriveva la storia. C’era anche la musica, e cose così. Alla fine ha catturato l’attenzione di Steven Spielberg, che ci si è divertito per un po’. Ma Family Dog era pensato per essere una serie di cortometraggi e all’epoca, Steven pensava che non ci fossero i mezzi economici per fare dei corti perché i cinema non volevano pagare per proiettarli. Il sistema dei vecchi tempi (dagli anni ’30 ai ’50) non esisteva più, sai no?, quello di mettere un corto prima di lungometraggio.
Capisco, lo studio non aveva modo per guadagnare dai corti per recuperare i costi.
Brad Bird: Esatto, ma vedi, io credo, come ho sempre creduto, che in verità un modo esista. Bisogna concepirli in un modo diverso, come un lavoro unitario piuttosto che soffermarsi sui singoli corti.
Allargare gli orizzonti dal punto di vista del business economico?
Brad Bird: Sì. In altre parole, la Warner Bros Library frutta alla compagnia svariati milioni di dollari l’anno per i quali non pagano niente. Se si riuscisse a concepire i corti come una sorta di serie tv, che altro sarebbero se non episodi da mandare in onda su licenza e dai quali poter guadagnare? Pensando ai corti in quel modo, credo che potrebbe essere fattibile.
Ma in ogni caso, nessuno ci aveva pensato, e così Steven lasciò perdere. L’idea rimase là per un paio d’anni e quando mi hanno coinvolto per scrivere una sceneggiatura live action per Amazing Stories, a Steven piacque così tanto quello script che mi fece altre proposte.
Nel frattempo, Tim Burton aveva iniziato la sua carriera di regista e io avevo scritto un altro cortometraggio di Family Dog. Ho realizzato lo storyboard io stesso. L’ho portato con me quando sono andato a discutere di altri progetti con Steven, lui l’ha guardato e si è messo a ridere, poi mi ha chiesto: “potresti fare una mezz’ora di questo?”. E io ho risposto: “certo che sì”. E lui: “Mettiamolo nella serie Amazing Stories”.
Il Family Dog originale che avevo fatto era quello in cui Tim Burton aveva disegnato gli storyboard, ma la maggior parte erano stati realizzati con le mie indicazioni. Quello fu il primo. Poi ci fu quello che ho appena nominato, e infine un terzo chiamato Prowlers, scritto da me.
Quando abbiamo cominciato a realizzare lo show, tutti e tre sforavano i limiti di tempo. Il mio co-produttore voleva che li tagliassi tutti e tre, ma erano concepiti con dei tempi molto concatenati tra di loro. Avremmo dovuto rovinare le gag comiche per farli durare 22 minuti. Invece che fare questo, ho eliminato il primo corto, quello che aveva interessato Spielberg. Avevamo iniziato anche quello, con diversi layout e il sonoro già registrato, ma non avevamo ancora fatto l’animazione o gli sfondi. L’ho semplicemente eliminato e ne ho pensato un altro per riempire il vuoto tra gli altri due.
In altre parole, dopo aver escluso quello originale, la lunghezza totale dello show era tipo due minuti. Perciò ne ho concepito un terzo di un formato che si potesse espandere o contrarre a seconda della lunghezza necessaria. In questo modo non sono stato costretto a tagliare nulla senza motivo dagli altri due corti. Le altre due sequenze sono state sviluppate fino a raggiungere la lunghezza giusta, mentre quello centrale era solo un modo per raccordarli. Ecco cosa è successo.
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