Ed ecco la nostra seconda recensione di Big Hero 6, a cura di Irene Rosignoli/Iry.
Trovate QUI la prima.
In Disney si guarda sempre avanti. La curiosità li porta verso nuovi orizzonti, aprendo nuove porte e facendo cose nuove.
Non stupì dunque, nel 2011, l’annuncio di un film animato ispirato a una serie a fumetti Marvel. Siamo in un’epoca di universi cinematografici tratti dal mondo dei comics, con lo scopo di tradurre in pellicola il format seriale che appassiona i nerd da fumetteria. Questi incredibili successi sono in grado di conquistare il pubblico e il box office, imponendosi tra le uscite più attese ogni anno, tanto che i grandi studi stanno letteralmente facendo a gara per accaparrarsi i diritti di qualsiasi serie che potrebbe costituire un potenziale franchise. Il fatto che poi Marvel fosse diventata di proprietà Disney pareva l’occasione giusta per spingere i Walt Disney Animation Studios là dove non si erano mai avventurati.
Non si trattava di un’impresa facile. Il pubblico Disney, quando vuole, sa essere spietato. Figuriamoci poi se si tratta di videogiochi o fumetti, settori che vengono spesso ritenuti molto lontani dal tradizionale magico mondo di Walt. Eppure il progetto è stato pensato con molta cura e con molto rispetto della Disney legacy. Prima di tutto, si è scelto di portare sul grande schermo una miniserie praticamente sconosciuta: Big Hero 6. Niente Spiderman o Hulk, ma la storia di un gruppo di ragazzini vagamente ispirata al mondo dei manga giapponesi. Si è scelto inoltre di escludere completamente la Marvel dalla produzione del film, se non per camei o easter egg, lasciando l’intera lavorazione ai Disney Studios. Infine, dietro la macchina da presa è stato piazzato Don Hall, che proprio nel 2011 aveva firmato quel gioiellino di Winnie The Pooh – Nuove avventure nel bosco dei 100 acri, ingiustamente snobbato da critica e pubblico.
Hall ha rielaborato la storia originale, che aveva toni e atmosfere da fumetto per ragazzi, per renderla fruibile a tutte le età, concentrandosi sulle vicende del protagonista Hiro, un enfant prodige della scienza, e sul suo rapporto con il fratello maggiore Tadashi e con il robot Baymax – diventato per l’occasione un operatore sanitario dedito alla cura del suo piccolo protetto. Accanto all’improbabile coppia bambino-robot troviamo poi i compagni di scuola, improvvisati supereroi: Fred, Wasabi, GoGo Tomago e Honey Lemon. Un adattamento che sulla carta sembrava vincente per la sua capacità di fondere l’avventura Marvel con il cuore e le emozioni di un Classico Disney.
Ma qualcosa è andato storto. Forse proprio per la sua natura di ibrido, Big Hero 6 è, infatti, un film incerto che vuole essere un cinecomic, ma allo stesso tempo ha paura di diventarlo fino in fondo. La trama nella sua componente action ne esce dunque piuttosto male: il presunto mistero sull’identità del villain viene risolto immediatamente, e lo stesso villain è un personaggio con motivazioni ben poco valide e con cui è del tutto impossibile empatizzare. Bistrattati anche i comprimari, che purtroppo hanno la peggio: i quattro supereroi amici di Hiro, per quanto gradevoli e interessanti sia caratterialmente che dal punto di vista dell’animazione, rimangono soltanto macchiette sullo sfondo. Non ci viene detto nulla di loro, al punto che sembrano presenti sullo schermo soltanto per regalarci qualche battuta “cool” durante le spericolate scene d’azione. Azione che tenta disperatamente di eguagliare quella di un cinecomic live action, non riuscendoci, e cadendo spesso in ingenuità di scrittura.
Vera anima della pellicola è invece Baymax, personaggio che oltre a strappare più di una risata fornisce al cartoon sentimento, emozione e cuore. Il suo arco narrativo, strettamente intrecciato a quello del piccolo Hiro e alle sue vicessitudini familiari, è la parte più riuscita del film e quella veramente in grado di coinvolgere. Risulta chiaro, quindi, come mai l’intera campagna pubblicitaria sia stata basata su questo tenero robot gonfiabile: è lui che catalizza l’attenzione ed è lui che resterà nel cuore degli spettatori.
Se la trama risulta in sé piuttosto debole, è sul piano tecnico-artistico che Big Hero 6 mostra un po’ di coraggio. Sfondi e ambienti sono una fusione del gusto giapponese proveniente dalla miniserie a fumetti e di quello americano portato da Disney. Il risultato è San Fransokyo, una metropoli esteticamente mozzafiato dal design sicuramente nuovo e originale. Anche l’animazione è una continua conferma: la recitazione dei personaggi è notevole e si osserva una particolare cura nel design in CGI dei personaggi maschili, specialmente in Wasabi e nel professor Callaghan. Dopo essersi cimentati con Rapunzel, Anna e Elsa, ecco che i Disney Studios tentano un ulteriore – gradito – step avanti nella loro sperimentazione col 3d. Ottimo anche l’uso delle luci, per le quali è stato creato un nuovo software (Hyperion) appositamente per l’occasione.
Pur risultando nel complesso un film insicuro e a tratti decisamente debole, Big Hero 6 diverte e coinvolge e piacerà sicuramente ai più piccoli. Chi cerca di più ha però soltanto un’opzione per considerarlo un film riuscito: il film, di fatto, funziona al 100% solo se lo consideriamo il primo episodio di un franchise, in cui vengono introdotti dei personaggi che verranno poi sviluppati ulteriormente in seguito. Di certo si tratta di qualcosa di atipico per la Disney; che si tratti di un chiaro segnale (insieme ai già chiacchierati Frozen 2 e Ralph Spaccatutto 2) che la politica dell’azienda sta cambiando?