Visto in anteprima a Giffoni Film Festival 2017
Accanto ai ben più famosi remake live action dei classici Disney, che sembra stiano rapidamente assorbendo l’intera produzione, Disney Pictures si è dedicata negli ultimi anni alla creazione di pellicole meno ambiziose, meno costose e inspiegabilmente insabbiate dalla stessa azienda, che prediligendo i kolossal finisce per un motivo o per l’altro per lasciare queste piccole gemme nel dimenticatoio.
La stessa sorte ha avuto Queen of Katwe, film diretto da Mira Nair e arrivato in una selezione di sale americane l’anno scorso, rimanendo inedito in Italia fino a questo momento (ma verrà distribuito su Sky Cinema e non in sala). L’opera è ispirata alla storia vera di Phiona Mutesi, ragazza nata nella baraccopoli di Katwe nella città di Kampala, in Uganda. La sua vita difficile cambia quando incontra Robert Katende, un missionario laico che insegna ai bambini il gioco degli scacchi, per il quale Phiona dimostra subito di avere un talento straordinario. Nonostante le sue umili origini, la sua bravura e il suo impegno la porteranno a rappresentare il suo paese alle olimpiadi degli scacchi e finalmente ad avere l’opportunità di sognare un futuro migliore.
Queen of Katwe è una storia potente perché potente è il materiale originale: tutto ciò che succede a Phiona sullo schermo è accaduto davvero nella realtà, ed è semplicemente impossibile non commuoversi di fronte alle sue vicende. Nella vita di Phiona, il gioco degli scacchi diventa non solo un mezzo per fuggire finalmente dalla fame o da un futuro ben peggiore (più volte viene trattato il tema della prostituzione, che inevitabilmente attende le ragazze povere di Katwe); gli scacchi sono anche lo specchio della vita stessa, una vita in cui servono premeditazione, astuzia, intelligenza, capacità di cavarsela nei momenti più difficili e in ultimo in cui il pezzo più piccolo può trionfare diventando il più grande.
Nonostante ci fosse materiale forte abbastanza da potersi permettere di far leva solo sulla lacrima assicurata, la regista Nair non pecca di pigrizia, inserendo tematiche e riflessioni che portano la storia su un livello superiore. In Phiona non c’è solo il bisogno di riscatto e di migliorare la propria condizione, ma anche l’altro lato, il ben più interessante e meno scontato sentimento di delusione che si ha quando si riesce a toccare con mano una vita migliore, ma subito dopo si è catapultati di nuovo alla realtà. La regista non si tira indietro dal mostrare anche i lati negativi di questa ascesa al successo: se la prima volta che viaggiano all’estero Phiona e i suoi compagni dormono a terra perché non sanno cosa sia un materasso, già dal viaggio successivo è evidente come la ragazza inizi in un certo senso a montarsi la testa, diventando troppo sicura di sé e della vittoria al campionato, e parallelamente certa di poter finalmente diventare benestante e felice.
Regista e sceneggiatore si chiedono dunque fino a dove sia lecito spingersi con i propri sogni, se sia giusto aggrapparsi a un’illusione che potrebbe lasciarci perennemente infelici e insoddisfatti della nostra condizione, oppure se al contrario sia meglio accontentarsi del poco che si ha e non immaginare cosa ci sia al di fuori dei nostri ristretti confini.
Sebbene l’esordiente Madina Nalwanga sia ottima nei panni di Phiona, la scena viene letteralmente rubata dal personaggio e dalla travolgente interpretazione di David Oyelowo nel ruolo di Katende, non solo mentore per i ragazzi del club di scacchi ma vera e propria personificazione della speranza in un futuro diverso. Altrettanto valida la prova dell’attrice Premio Oscar Lupita Nyong’o come Harriet, madre di Phiona, donna forte come una roccia pronta a sacrificarsi per il futuro dei propri figli, ma che allo stesso tempo vorrebbe trattenere Phiona ed evitare che soffra sognando troppo in grande.
È dunque un vero peccato che una storia così esemplare e un film così ben narrato, con tematiche e riflessioni talmente universali da andare ben oltre il piccolo villaggio di Katwe, siano passati in sordina al punto da non avere neanche una release cinematografica nel nostro paese. Non c’è dubbio: un’opera come Queen of Katwe meritava di più.