Per il secondo appuntamento con il Book Club di Impero Disney, abbiamo deciso di leggere il classico della letteratura per ragazzi Peter Pan, da cui è tratto il quattordicesimo film Disney, del 1953.
Cliccando qui trovate il primo video della rubrica Book Club
Qui sotto trovate invece il video dal nostro canale YouTube con alcune riflessioni sulle somiglianze e le differenze tra il romanzo e il film Disney.
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Rubriche
Per tutti gli appassionati di lettura nasce da oggi Impero Disney Book Club, un gruppo in cui ci scambieremo recensioni e pareri su romanzi, saggi, artbook e fumetti inerenti al mondo Disney.
Oggi iniziamo con Il sistema Pixar di Christian Uva, edito da Il Mulino, di cui trovate qui sotto la videorecensione.
La sinossi: Nata come costola della Lucasfilm di George Lucas, acquisita da Steve Jobs nel 1986 e divenuta nel 2006 di proprietà della Walt Disney, la Pixar rappresenta un esempio ideale di industria creativa capace di imporre a livello globale un marchio di qualità che è cifra di una precisa visione del mondo, oltre che di un solido e corposo immaginario insieme infantile e adulto. Film come Toy Story, Alla ricerca di Nemo, Gli incredibili, Cars o Inside Out sono il frutto di un sistema industriale, narrativo, estetico e ideologico che, nel corso degli ultimi vent’anni, è stato in grado di rivitalizzare il cinema d’animazione proponendo, tra tecnofilia e nostalgia, un’articolata riflessione sull’american way of life contemporanea e, in particolare, sull’identità nazionale degli Stati Uniti alla prova delle sfide del presente.
La videorecensione:
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Tutti gli appuntamenti Disney da non perdere nel 2017
Come sempre, noi di Impero Disney vi auguriamo buon anno nuovo segnalandovi le uscite al cinema e gli appuntamenti Disney da tenere d’occhio nel 2017, suddivisi per ambito. Grazie a tutti voi che ci seguirete anche quest’anno!
Film d’animazione
Niente classico Disney: il 2017 sarà un anno totalmente all’insegna della Pixar. Il primo lungometraggio che ci proporrà la casa di Luxo sarà Cars 3, nuovo capitolo delle avventure di Saetta McQueen, che promette di essere più dark dei suoi predecessori. La trama sarà infatti incentrata su un incidente che coinvolgerà il protagonista, rischiando di rovinare per sempre la sua carriera. È forse arrivata l’ora della pensione per Saetta?
Il film sarà accompagnato dal cortometraggio inedito Lou. Vedremo entrambi al cinema a settembre (mentre in America uscirà a giugno). Cliccate qui per vedere il trailer di Cars 3.
A novembre (presumibilmente a Natale da noi) arriverà invece Coco, un’avventura musicale ambientata nel Messico del Dia De Los Muertos. Il film segna il ritorno sul grande schermo di Lee Unkrich, regista dell’acclamato Toy Story 3. Per il momento non abbiamo un trailer, ma potete trovare la descrizione della trama nel dettaglio cliccando qui.
Come abbiamo detto, non ci saranno lungometraggi dei Walt Disney Animation Studios, ma a Natale verrà trasmesso in tv uno speciale che vedrà il ritorno di Anna, Elsa e dei personaggi di Frozen. Si intitolerà Olaf’s Frozen Adventure e sarà incentrato sul pupazzo di neve. Il mediometraggio conterrà anche nuove canzoni inedite. Cliccate qui per saperne di più.
Disney Pictures
Il primo appuntamento con i live action Disney del 2017 è talmente atteso che nominarlo è quasi superfluo: si tratta de La Bella e la Bestia, in arrivo al cinema il 16 marzo. La pellicola con Emma Watson, Dan Stevens, Emma Thompson e Ian McKellen è già tra le più attese dell’intero anno. Si tratta di una rielaborazione con attori veri della storia del classico Disney del 1991, con un’impostazione musical che utilizza la colonna sonora originale, più tre canzoni inedite composte per l’occasione da Alan Menken, già autore delle musiche del film animato. Trovate qui l’ultimo trailer.
Dopo un paio di mesi, Disney Pictures ci riporterà anche nel mondo di Pirati dei Caraibi con il quinto episodio, intitolato La vendetta di Salazar. Si sa ancora pochissimo della trama, ma tra new entry e vecchi ritorni il film proverà a riportare in auge il famoso franchise con Johnny Depp. Al cinema dal 24 maggio (qui il trailer).
Marvel Studios
Saranno per la prima volta ben tre i film che ci proporranno invece i Marvel Studios. Si comincia il 25 aprile con Guardiani della Galassia Vol. 2, il sequel del film di James Gunn sulla più improbabile banda di eroi dell’universo, di nuovo a ritmo delle migliori hit degli anni ’80. Qui trovate il trailer, che ci ha già fatto innamorare completamente del dolcissimo Baby Groot.
C’è grande attesa anche per il ritorno a casa di Spider-Man, con Spider-Man: Homecoming (in arrivo il 7 luglio). Il personaggio era di proprietà della Sony fino a qualche anno fa, mentre ora finalmente la Marvel ha ottenuto il permesso di inserirlo nel proprio Universo Cinematografico. L’Uomo Ragno avrà il volto del giovanissimo Tom Holland, che abbiamo conosciuto in Civil War. Qui il trailer.
L’ultimo Marvel arriverà invece il 3 novembre e sarà il terzo film di Thor, intitolato Thor: Ragnarock. Una nuova cattiva e il ritorno di Loki attendono il Dio del Tuono, che si rifarà dalla mancata partecipazione alla Civil War.
Lucasfilm
Dopo la parentesi spin-off di Rogue One, è ora di tornare al filone classico con Star Wars Episodio VIII (non è stato ancora rivelato il titolo), in uscita il 15 dicembre. Ovviamente la trama è ancora completamente top secret…
Disney Nature
Arriva finalmente al cinema ad aprile (ma non in Italia, dove lo vedremo probabilmente su Sky) Born in China, il documentario sugli animali della Cina, tra cui teneri panda giganti, leopardi delle nevi e altri animali a rischio di estinzione.
Serie tv
Annata particolarmente interessante per Walt Disney Television Animation, che quest’anno lancerà tre prodotti per cui c’è già molta attesa sul web. Il primo è ovviamente il reboot di DuckTales, la serie animata con protagonisti Zio Paperone e la famiglia dei paperi. Mentre aspettate di lanciarvi nelle loro nuove avventure, ascoltate la sigla cantata dal cast.
Gli altri due appuntamenti da non perdere con l’animazione televisiva sono Tangled Before Ever After, ovvero la serie animata di Rapunzel, e le nuove avventure di Hiro e Baymax in quella ispirata a Big Hero 6. Qui potete trovare il trailer della prima, mentre per la seconda abbiamo per il momento solo un’immagine.
Fumetto
Si parte già in grande con Metopolis, parodia di Metropolis realizzata da Francesco Artibani e Paolo Mottura, che ci attende su Topolino il 4 gennaio. Il mese sarà poi dedicato alla saga Wizards of Mickey, come ci informa l’ultimo editoriale della direttrice Valentina De Poli, che ci offre un assaggio di cosa ci attenderà nel 2017 mese dopo mese.
Facendo una rapida carrellata, a febbraio ritroveremo Paperino Paperotto e i suoi amici, mentre a marzo una nuova avventura di Darkenblot. Ad aprile si festeggerà l’anniversario di Disneyland, a maggio toccherà alla nuova storia di Pikappa, giugno con Paperino, luglio con nuove storie di Doubleduck. Ad agosto farà il suo ritorno Reginella, mentre a settembre saremo ospiti di Zio Paperone al deposito. A ottobre avremo invece il sequel di Zio Paperone e l’ultima avventura. Infine, novembre sarà dedicato a Topolino e dicembre proprio a Zio Paperone.
Quali appuntamenti Disney attendete con più interesse? Fatecelo sapere sulla nostra pagina Facebook e sul nostro Gruppo Nazionale!
IL 2016 DI IMPERO DISNEY – I PREFERITI (E NON) DI Kerm
Il 2016 sta per terminare ed è stato un anno da record! Riviviamolo studio per studio mentre aspettiamo di gustarci tutte le novità che la Casa di Topolino ha serbato per il 2017!
These are Kerm’s 2016 favourites (and more…)!
Film d’animazione
Dopo due anni di pausa, ecco che Walt Disney Animation Studios e Pixar tornano a scontrarsi pacificamente al box office (uno “scontro” che se vogliamo vede soltanto un vincitore: una Company che raggiunge un grande record in termini di incassi). Sono due i nuovi Classici, diretti tra l’altro da due coppie di grandissimi artisti disneyani, la prima inedita, l’altra ben navigata: parliamo di Rich Moore e Byron Howard per Zootropolis e di John Musker e Ron Clements per Oceania.
I registi dei due film in CGI più belli degli ultimi anni uniscono le forze per una nuova storia originale, riprendendo un tratto caratteristico della tradizione: gli animali antropomorfi. Nasce così Zootopia, arrivato qui come Zootropolis, un film davvero bello, molto politico e concepito probabilmente anche in relazione agli eventi che stanno segnando la contemporaneità. Un messaggio forte di dialogo e condivisione con chi è diverso, anche se agli antipodi, e un invito a dare sempre il meglio di sé. Senza dubbio il miglior lungometraggio dell’annata. Visivamente memorabile la sequenza di apertura sulle note dell’unica canzone del film, Try Everything cantata da Shakira, durante la quale ci viene mostrata la fantastica città di Zootropolis, che speriamo di poter visitare ancora più a fondo in futuro (magari non coinvolgendo per forza i bellissimi personaggi già visti nella pellicola di quest’anno).
Dopo aver reso grande quel periodo denominato “Rinascimento Disney”, e aver inaugurato l’era “Disney Revival” con La Principessa e il Ranocchio, non poteva certo mancare una nuova opera targata Musker & Clements. Perfettamente inserito in quella “zona grigia” tra innovazione e tradizione, il duo fa il suo debutto nel mondo dell’animazione interamente a computer con Oceania. Ritroviamo in questo lungometraggio, destinato a totalizzare grandi cifre al box office: una trama lineare e scorrevole che ricorda molto, in materia di struttura, alcuni dei loro primi lavori come La Sirenetta e Aladdin; la forma del musical, già riportata in auge da Rapunzel – L’Intreccio della Torre (co-diretto da Nathan Greno e da quel Byron Howard del quale parlavamo poco fa) e poi dall’ormai famoso Frozen – Il Regno di Ghiaccio; la contaminazione di generi e culture, come sperimentata in parte in Hercules, dove tra l’altro i due avevano avuto già a che fare con la mitologia e le divinità. Dalla tradizione però torna anche a farci visita (e con piacere vediamo che la cosa inizia a diventare più frequente) l’animazione tradizionale, quella di primissima qualità firmata nientepopodimeno che da due leggende del disegno animato Disney come Eric Goldberg e Mark Henn. In queste scene avviene qualcosa di straordinario e che fino ad ora sembrava irrealizzabile, non da un punto di vista tecnico quanto di intenzioni: se negli anni 80-90 erano personaggi animati in 2D a muoversi su fondi e ambienti ricreati in computergrafica, in Oceania possiamo vedere esattamente l’opposto. Il risultato? Sequenze pazzesche che rendono giustizia alla cultura polinesiana e a noi sostenitori di una convivenza tra animazione tradizionale e CGI nel panorama cinematografico. Forse un prodotto meno maturo delle ultime pellicole del duo (soprattutto rispetto a Il Pianeta del Tesoro, che viene in qualche modo “citato” grazie al tema della navigazione), ma non per questo meno godibile. Menzione speciale alle canzoni (adattamento in italiano a parte), alcune dal sapore più esotico firmate da Opetaia Foa’ì, e altre ad opera del compositore hip-hop/R&B Lin-Manuel Miranda che introduce il genere rap in un film Disney dopo averlo portato a Broadway con Hamilton: An American Musical.
Gli studi di Luxo portano nelle sale il primo dei sequel che caratterizzeranno interamente i prossimi anni (fatta eccezione per Coco): Alla Ricerca di Dory. Un film ben riuscito che riprende molte tematiche già affrontate nel suo predecessore (prima fra tutte quella della disabilità, stavolta anche di natura neurologica e non soltanto fisica). La domanda che viene da porci è però: quanto ne sentivamo il bisogno? La risposta è “poco o per niente”. È una nuova storia che colma sì qualche dubbio lasciato in precedenza, ma su cui probabilmente gli spettatori non avevano esigenza di soffermarsi. Probabilmente approfondire il destino dei pesci dell’acquario da quel fatidico “E adesso?”, sarebbe stato più strettamente collegato alla pellicola originale da un lato, forse più scontato dall’altro. La scena del camion è quella su cui nutro le maggiori perplessità, non per i toni decisamente sopra le righe, ma perché sembra che il mondo sottomarino costruito da Andrew Stanton interferisca in modo troppo incisivo con il nostro.
Cortometraggi d’animazione
Anche qui è battaglia tra i due studi: la Pixar schiera il suo Piper, la Disney Testa e Cuore. Due corti adorabili e di grande valore artistico che rappresentano due modi altrettanto corretti per fare animazione. Piper, la storia di questo uccellino pronto a fare un grande passo nel suo processo di crescita, con tutte le difficoltà del caso. Muto, accompagnato da un elegante e deciso clavicembalo protagonista della traccia composta da Adrian Belew, è una delicata perla di emozioni. Seppur meno intenso di Parzialmente Nuvoloso o de La Luna, sa regalare molto più calore di alcuni lungometraggi d’animazione visti di recente. Un impressionante fotorealismo (da paura l’animazione della sabbia) anche nel design dei personaggi, che non compromette la possibilità di comunicare e agire in modo tipicamente cartoonesco. Davvero eccellente.
Ma se da una parte l’animazione riproduce in modo molto fedele la realtà, i WDAS ci propongono Testa e Cuore, un divertentissimo corto che trae la sua ispirazione dall’ormai noto cortometraggio del 1943 Reason and Emotion, come il meraviglioso film Pixar dell’anno scorso intitolato Inside Out. Tanti inserti in 2D, design stilizzato e irresistibile, divertente, emozionante, con una morale che nel mondo di oggi va tenuta sempre più presente, colonna sonora gradevolissima… insomma, la Disney che ci piace!
Film in live action
Il GGG è uscito da poco e non ho avuto ancora il piacere di vederlo. Da Alice Attraverso lo Specchio mi aspettavo sinceramente molto di più (salvo un Sacha Baron Cohen surreale, anche se comunque un tantino sottotono rispetto ai suoi standard) sia per il soggetto, sia per la regia di James Bobin che qualche anno fa aveva sfornato un film sui Muppet davvero stupendo. Il Libro della Giungla di Jon Favreau e Il Drago Invisibile di David Lowery si inseriscono anch’essi in questa sfilza di remake in live action programmati dalla Company per questi anni. L’uso quasi totale della CGI per quanto riguarda il remake del Classico del 1967 dovrebbe farci riflettere sul concetto stesso di “live action”, a maggior ragione considerando che lo stesso Favreau continuerà a prendere parte a progetti del genere, dirigendo il sequel della pellicola di quest’anno e il remake de Il Re Leone, dove ricordiamo che non c’è alcun personaggio umano che possa essere interpretato da attori in carne ed ossa. Malgrado tutto risulta un film godibile, abbastanza distante dal cartone animato soprattutto in fatto di atmosfere, ma con qualche richiamo forte come la presenza di “The Bare Necessities” e di “I Wanna be Like You” (cantata peraltro da Giancarlo Magalli, il nostro Filottete. Azzardo a dire che tanti di noi vorrebbero più personaggi doppiati da Magalli, sia per la simpatia, sia per il talento: il suo Re Luigi è fantastico). Con Il Drago Invisibile la Disney affronta in misura nettamente inferiore il confronto con il lungometraggio di riferimento, Elliot il Drago invisibile del 1977, pressoché sconosciuto alle nuove generazioni. Il film è carino, nulla di memorabile, ma piacevole. A mio parere però la Disney commette un unico errore: nella loro presentazione iniziale (ovvero un bimbo che cresce da solo in una giungla/foresta diventando amico di creature non umane), i due film appaiono troppo simili rendendo inevitabile un confronto e una sensazione di “già visto” che penalizzano la pellicola di Lowery. C’è però da sottolineare che Mowgli e Pete sono personaggi profondamente diversi, e non possiamo liquidare il secondo definendolo un “Mowgli ripulito” come alcuni commentatori hanno fatto. Anche i loro amici animati svolgono funzioni totalmente differenti (Bageera, Baloo e il branco dei lupi sono dei veri e propri mentori; Shere Khan, Kaa, e King Louie sono antagonisti a tutti gli effetti; Elliot è più un animaletto domestico) così come la presenza e il ruolo degli umani. Ma non sarebbe stato più appagante poter vedere anche qualcosa di totalmente originale sulla scia di Tomorrowland – Il Mondo di Domani?
Come già annunciato l’anno scorso, i Marvel Studios si sono stabilizzati su due uscite l’anno. Ma non contenti, Kevin Feige e company nel 2017 passeranno addirittura ad uno standard di 3 pellicole all’anno (nella fattispecie gli attesissimi Guardiani della Galassia Vol. 2, Thor: Ragnarok, e Spider Man: Homecoming co-prodotto con la Sony). Due titoloni quelli del 2016, Captain America: Civil War e Doctor Strange.
I Russo tornano a raccontare le avventure di Steve Rogers, ma in un quadro decisamente diverso rispetto a prima. La trama riprende esattamente da dove Avengers: Age of Ultron ci aveva lasciati, rendendo i due lungometraggi inscindibili. Esattamente come il film di Joss Whedon, Civil War mette in scena una grande quantità di personaggi, testando la capacità del team di sceneggiatori composto da Christopher Markus e Stephen McFeely e dei registi stessi di gestire la coralità in vista dell’attesissimo terzo film sugli Avengers che come sappiamo chiamerà in causa Thanos armato di Guanto dell’Infinito e vedrà Vendicatori e Guardiani della Galassia (e forse altri personaggi) unire le forze per sconfiggerlo (ricordiamo che la prima parte si chiamerà Avengers: Infinity War. La seconda non ha ancora un titolo e arriverà a distanza di un annetto). Si tratta comunque di un ottimo thriller politico, con bellissime sequenze d’azione e nel quale ogni personaggio riesce ad essere gestito al meglio, a prescindere dallo screentime. Invece, passando al film di Scott Derrickson, si attendeva da tanto un lungometraggio incentrato su Stephen Strange. L’attesa ha dato i suoi frutti: il film riesce a mettere a fuoco in modo eccellente il personaggio interpretato da Benedict Cumberbatch e, in qualche modo, pone le basi per un universo (anzi, un multiverso) Marvel diverso, che probabilmente vedremo dopo la grande battaglia contro il Titano Pazzo. Visual effects bellissimi e mai come in questo caso utilissimi alla narrazione. Unica pecca: Kaecilius. La Marvel deve ancora sfornare un antagonista davvero temibile e carismatico (a parte Loki).
In queste ultime settimane abbiamo potuto assistere anche all’ultima fatica targata LucasFilm: Rogue One – A Star Wars Story, il primo spin off della saga creata negli anni settanta da George Lucas. L’idea è più che buona, rappresenta un ottimo compromesso per continuare e usare un determinato marchio ma raccontare storie originali e non scontate (un po’ quello che auspicavo per Zootropolis all’inizio e che suggerirei di accarezzare anche per Toy Story) che coinvolgono altri personaggi e ambienti di quello stesso mondo. L’impianto narrativo è lineare e ci sono degli spunti molto interessanti (i ribelli devono comportarsi anche “male”, gli estremisti…) e la spiegazione del perché una stazione spaziale così all’avanguardia come la Morte Nera avesse un punto debole così “vistoso” e banale, è perfetta. Ma il modo di raccontare le vicende è abbastanza confuso, per non parlare dei protagonisti: Jyn è completamente fuori dalla storia, gli eventi le scivolano addosso, non si riesce a creare un legame con lei, idem Cassian; ben riuscito invece il comprimario Chirrut e non dispiace neanche la sua controparte Baze; Saw Guerrera avrebbe meritato più spazio, si vede davvero poco e non soddisfa. Un vero peccato poiché date quelle premesse e alla luce dell’ultimo atto del film, poteva essere il miglior film targato Star Wars mai realizzato.
Serie Tv
Super dominio Marvel in fatto di serie televisive: il 2016 ne ha viste uscire addirittura 4, più una miniserie web! Cominciamo in ordine di anzianità. Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. conclude la sua terza stagione nella prima parte dell’anno in modo abbastanza convincente: ci si aspettava di più dai Secret Warriors invero, ma la minaccia rappresentata da Hive è molto interessante. Personaggio migliore assolutamente il Gideon Malick di Powers Boothe, che avevamo visto già interagire al cinema con Nick Fury in The Avengers. L’apertura della quarta stagione, dai toni più dark (tanto da valerle uno spostamento di orario) introduce Ghost Rider in modo efficace e originale oltre ai famigerati LMD, dei quali si parlava fin dalla prima stagione dello show. In questo arco ritroviamo il divertentissimo Dr. Radcliffe interpretato da John Hannah e l’energica inumana Elena “Yo-yo/Slingshot” Rodriguez con le fattezze di Natalia Cordova-Buckley. In particolare quest’ultima è un personaggio riuscito perfettamente, tanto da dedicarle anche la mini-webserie Marvel’s Agents of S.H.I.E.L.D. – Slingshot, brevissima ma molto accattivante. Molto interessante anche Jeffrey Mace, il nuovo direttore dello S.H.I.E.L.D., interpretato da Jason O’Mara e per il quale si aspettano nuovi sviluppi al rientro.
Quest’anno è tornata a farci visita anche l’agente Peggy Carter con la seconda stagione di Marvel’s Agent Carter. Purtroppo per il momento sono stati gli ultimi episodi che abbiamo potuto vedere con protagonista Hayley Atwell nei panni dell’unica donna tra gli operativi dell’SSR, in quanto la serie non è stata rinnovata. C’è da dire che queste ultime 13 puntate sono state di un livello nettamente inferiore rispetto alle 9 del 2015. La trama era piuttosto banale e poco accattivante e i continui giochi sulla vita sentimentale della protagonista combattuta tra il suo collega Daniel Sousa (Enver Gjokaj) e il Dr. Wilkes (Reggie Austin) alla lunga stancano. Sempre impeccabile Jarvis, interpretato da James D’Arcy e ottima la chimica con la Atwell. È bello che in Agents of S.H.I.E.L.D. abbiano fatto menzione (e anche qualcosa in più) degli eventi raccontati in questa serie e speriamo, fiduciosi visto il finale aperto, di rivedere l’agente Carter e gli altri in nuove avventure… magari su Netflix.
E proprio Netflix sforna altre due serie: la seconda stagione di Marvel’s Daredevil e il terzo serial del filone che sfocerà nel 2017 in The Defenders, ovvero Marvel’s Luke Cage. La realizzazione tecnica è sempre da togliere il fiato e sicuramente si prestano entrambe perfettamente al binge watching come se fossero lunghissimi film di 13 ore. Le trame stavolta risultano un po’ meno convincenti: il diavolo di Hell’s Kitchen parte benissimo con l’introduzione del personaggio di The Punisher interpretato da Jon Bernthal (talmente ben riuscito da meritare una nuova serie in solitaria). La trama però mette troppa carne al fuoco con l’introduzione di Elektra e de La Mano: una digressione mistica che non si comprende appieno e che convive in modo confusionario con l’arco del Punitore. Bellissimo il ritorno di Vincent D’Onofrio, sempre magistrale nella sua interpretazione. Luke Cage l’abbiamo conosciuto già in Marvel’s Jessica Jones, e non mi aveva dato l’impressione di un personaggio molto carismatico. Riesce però a sostenere il peso dei tredici episodi, aiutato in modo considerevole dalla già nota infermiera Claire Temple (Rosario Dawson) e dalla detective Misty Knight (Simone Missick). La trama diventa avvincente verso la seconda metà, lo spaccato su Harlem è significativo. Purtroppo non convince fino in fondo: risulta lenta e il decollo avviene di sicuro in ritardo.
Infine ci sono stati gli ultimi episodi di un’altra serie non rinnovata: se vi avevo parlato de “I Muppet” in maniera entusiasta già alla fine del 2015, il reboot creativo che era stato annunciato ha dato i suoi frutti. Sono da sempre contrario al fan service, ma quanto fatto con la banda di pupazzi creata da Jim Henson, è più un “richiamo all’ordine”: finalmente ritroviamo quelle caratteristiche che hanno reso grande il Muppet Show, quel cuore che avevamo visto battere a intermittenza torna in modo consistente a farsi sentire smussando un po’ quel cinismo mostrato all’inizio. Torna la musica, tornano alcuni sketch, con le dovute rivistazioni, cult… insomma, tornano i Muppet che il pubblico ama. È un peccato non aver continuato con la produzione di nuovi episodi su questa scia.
Il 2016 di Impero Disney – I preferiti (e non) di Iry
Un anno fa vi elencavamo tutti gli appuntamenti Disney da non perdere dell’anno 2016.
Ora è tempo di bilanci: quali sono stati i nostri film, fumetti, serie tv Disney preferiti dell’anno appena trascorso?
Qui trovate i preferiti della nostra Irene (admin Iry su Facebook).
Film d’animazione
Dei tre film d’animazione che ci ha proposto la Disney Company quest’anno, colloco subito in fondo alla lista dei miei preferiti l’unico Pixar, Alla Ricerca di Dory. L’ho trovato un film tanto abile nell’affrontare temi forti e coraggiosi e nel ricostruire la storia di Dory, quanto ruffiano nella realizzazione e nel voler riproporre certi tormentoni e schemi già visti nel primo capitolo. Si tratta di una Pixar di buon livello e di un film ben fatto, tuttavia non esattamente quello che mi aspetto o che vorrei dai geni di Emeryville. Confido nei lungometraggi che ci proporranno il prossimo anno: Cars 3 potrebbe essere l’occasione buona per recuperare il pasticcio combinato col secondo, mentre Coco segna il ritorno di Lee Unkrich, regista dell’ottimo Toy Story 3.
La partita si gioca quindi tra i due classici Walt Disney Animation del 2016, e premetto fin da subito che né Zootropolis né Oceania mi hanno completamente soddisfatto. Li trovo entrambi film eccellenti, tuttavia non hanno scalzato Ralph Spaccatutto, Frozen e Rapunzel dal mio podio personale. I due prodotti si completano a vicenda: laddove Zootropolis mi ha regalato riflessioni, bei temi, una bella morale disneyana e personaggi animali come non si vedevano da Robin Hood, Moana/Oceania mi ha restituito prima di tutto le sequenze musicali, un’impostazione classica che non poteva che essere firmata dai papà della Sirenetta e in ultimo un – graditissimo – pizzico di animazione a mano. (La mia recensione di Oceania)
Il giorno in cui scopriranno che tutti questi elementi possono essere combinati insieme e che non c’è problema a utilizzare le canzoni anche se non ci sono principesse, sarà probabilmente il giorno in cui uscirò dal cinema veramente soddisfatta. Tra i due consegno comunque la statuetta a Zootropolis, perché ammetto che da Musker e Clements forse mi aspettavo un pochetto di più, mentre Byron Howard e Rich Moore hanno dimostrato una volta per tutte di avere un ruolo fondamentale nella nuova generazione di registi Disney.
Cortometraggi
Ho gradito entrambi i corti usciti dagli studi principali quest’anno. Il pixariano Piper è molto delicato e tenero, inoltre il livello di maestria raggiunto con l’animazione dell’uccellino protagonista (in grado di saltellare con un realismo incredibile e allo stesso tempo di comportarsi al 100% come ci si aspetta si comporti un cartoon) è davvero notevole. Invece Testa o cuore, il corto dei Walt Disney Animation Studios abbinato a Oceania, è un omaggio a Ward Kimball, e probabilmente basterebbe anche solo questo per farmelo piacere. Trovate qui la mia recensione.
Menzione particolare va ai corti della serie Mickey Mouse di Paul Rudish che ho – mea culpa – solo recentemente iniziato a guardare con interesse. Di questi vi parlerò quando li avrò recuperati sul serio. Per il momento, mi limito a consigliarvi Adorable Couple.
Film live action
Quest’anno non ho seguito i live action Disney Pictures, e vi ho anche spiegato perché.
Quanto ai due studi rimanenti, ho molto apprezzato Rogue One, pur avendo preferito nel complesso Il Risveglio della Forza. La seconda parte del film, in particolare, è grande cinema action e fa delle scelte coraggiose che spero mettano a tacere chi ancora ha pregiudizi sulla gestione Disney del franchise di Star Wars.
Con la Marvel invece continuo ad avere un rapporto di amore e odio. Quest’anno ho visto Doctor Strange e non mi è dispiaciuto, ma temo di aver perso interesse per i cinecomic in generale.
Fumetto
Per quanto riguarda le storie che più ho apprezzato dalle pagine di Topolino citerei innanzitutto Casty con la sua Topolino e il raggio di Atlantide, ma anche con Topolino e l’isola di Quandomai, che mi ero persa all’epoca e ho potuto recuperare grazie alla ristampa in formato deluxe. Cito inoltre tra le mie preferite di quest’anno anche Duckenstein di Bruno Enna e Fabio Celoni e il crossover PK vs DD – Timecrime di Francesco Artibani e Paolo Mottura.
Una menzione particolare infine per la graphic novel The Moneyman (Tunué), che mi ha commosso con una sentita ricostruzione della vita di Walt Disney attraverso gli occhi del fratello Roy. Ve ne ho parlato qui.
Mentre nelle sale Alla ricerca di Dory continua a raccogliere consensi e incassi preparandosi a rivestire un ruolo da protagonista in occasione della prossima stagione dei premi, è bene ricordare che oggi non ci sarebbe Dory se prima non ci fosse stato Nemo. Fa strano pensarci, ma Alla ricerca di Nemo risale ormai a 13 anni fa, quando la Pixar non aveva ancora sfornato alcuni dei suoi più rinomati capolavori e l’acquisizione da parte della The Walt Disney Company non era ancora avvenuta.
Il film co-diretto da Andrew Stanton e Lee Unkrich, a dispetto di alcuni iniziali timori degli stessi produttori, può oggi vantarsi di essere uno dei film d’animazione più di successo di tutti i tempi, una visione per grandi e piccini che continua a divertire e commuovere oggi come ieri. E siamo certi che anche in futuro, il film con protagonisti il piccolo Nemo, l’apprensivo Marlin, la smemorina Dory e tutti gli altri, continuerà a “invecchiare” benissimo. Sul filone della nostalgia, ecco allora che vi proponiamo 15 curiosità su Alla ricerca di Nemo… preludio a un rewatching del film ovviamente!
1. Monsters & Co.
Prima ancora che gli venisse dedicato un film tutto suo, Nemo fa una comparsata in Monsters & Co. sotto forma di un pupazzo che Boo porge a Sulley.
2. Ventimila leghe sotto i mari
Il nome del piccolo protagonista del titolo è un omaggio al Capitano Nemo, celebre comandante del sottomarino Nautilus nel romanzo di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari.
3. Sidney
A differenza dei predecessori, Alla ricerca di Nemo è stato il primo film d’animazione targato Pixar ad essere ambientato al di fuori degli Stati Uniti, per la precisione all’interno della Grande Barriera Corallina nell’Oceano Pacifico, fino ad arrivare a Sydney.
4. Bruce
Bruce (nome originale di Bruto), lo squalo vegetariano nel quale si imbattono Marlin e Dory, è stato così chiamato in onore del film di Steven Spielberg Lo squalo. Ai tempi delle riprese di quest’ultimo infatti vennero costruiti dalla produzione tre squali meccanici, a cui ci si riferiva complessivamente proprio col nome di Bruce.
5. Dory
Inizialmente, il personaggio di Dory doveva essere un pesciolino rosso maschio di nome Gill, in quanto gli esemplari di questa specie hanno una memoria di tre secondi. Ma una sera il co-regista Andrew Stanton, guardando in tv l’Ellen Show in cui Ellen DeGeneres cambiava argomento più volte all’interno di una stessa frase, e a seguito di una visita all’acquario di Long Beach, decise che Dory sarebbe stata un pesce chirurgo femmina. La voce originale di Dory venne affidata proprio a Ellen DeGeneres, in quel periodo disoccupata a causa del proprio coming out.
6. A-113
Quando Nemo viene catturato e Marlin fotografato dal sub, la macchina fotografica ha sopra impressa la sigla A-113, che appare in tutti i film Pixar. Si tratta di un divertissement, in riferimento al numero di un’aula al California Institute of Arts dove hanno studiato molti animatori che sono poi finiti a lavorare alla Pixar.
7. Dentista
Su una parete dello studio dentistico in cui finisce Nemo, è appeso tra gli altri un certificato rilasciato dalla “Pixar University School of Dentistry” che utilizza come logo uno dei piccoli alieni verdi con tre occhi di Toy Story, con tanto di toga e cappello di laurea.
8. Occhi
I classici occhi spenti e opachi tipici della media dei pesci, non erano certo il massimo per dare carattere ai personaggi marini del film. Motivo per cui gli animatori Pixar per delineare gli occhi e le espressioni facciali dei pesci hanno piuttosto preso ispirazione dai cani, decisamente più comunicativi.
9. La mamma
La scena della morte della madre di Nemo inizialmente doveva esser mostrata un po’ per volta sotto forma di flashback, ma poi si decise di cambiare idea per renderla emotivamente più potente così da far comprendere il perché dell’atteggiamento iper protettivo di Marlin nei confronti del figlioletto.
10. Padre e figlio
Lo spunto per la storia raccontata in Alla ricerca di Nemo è autobiografico. Durante la realizzazione del film, il co-regista Andrew Stanton comprese di aver sviluppato un atteggiamento protettivo con il figlio. Ecco perché la storia messa in scena è quella emozionale di un padre e della sua sfida nel cercare di essere un buon genitore. L’ambiente marino è anch’esso conseguenza della storia personale di Stanton, che da piccolo cominciò a interessarsi a tutto ciò che è acquatico dopo essere rimasto affascinato da un acquario in uno studio dentistico.
11. Branchia
I colori che caratterizzano la faccia di Branchia, riproducono le rughe intorno alla bocca tipiche del doppiatore originale del pesce, Willem Dafoe. In una prima versione, Branchia non doveva essere un pesce buono, ma un personaggio più vicino a un villain.
12. Megan Mullally
L’attrice Megan Mullally, la Karen Walker di Will & Grace, inizialmente venne ingaggiata per doppiare uno dei pesci, in quanto si riteneva che la tipologia di voce da lei modulata nella celebre sit-com fosse perfetta. L’attrice non volle tuttavia replicarla, motivo per cui venne “congedata”.
13. Scorza
Nella versione originale di Alla ricerca di Nemo, a prestare la propria voce alla tartaruga Scorza è lo stesso regista del film Andrew Stanton. Inizialmente il doppiaggio da parte di Stanton doveva essere provvisorio, in attesa di trovare l’attore definitivo per la tartaruga marina con accento californiano. Ecco perché le sessioni vocali di Stanton furono registrate mentre l’uomo giaceva comodamente stravaccato sul divano, nell’ufficio del co-regista Lee Unkrich.
14. Pesci Pagliaccio
L’enorme successo riscosso da Alla ricerca di Nemo ebbe come conseguenza un aumento delle richieste di pesci pagliaccio per gli acquari. Tuttavia, la loro cattura e vendita eccessiva, portò purtroppo a un rapido e preoccupante calo della presenza della specie nel suo habitat naturale.
15. Gli Incredibili
Ad anticipare l’uscita del successivo film d’animazione Pixar, è un bambino nella sala d’attesa del dentista che legge un fumetto con protagonista Mr. Incredible. Sempre nello studio dentistico, in un angolo pieno di giochi, si può individuare un pupazzo di Buzz Lightyear.
A cura di Giorgia Lo Iacono di Wild Italy
Non si esce vivi dagli anni ’80.
Questa frase è una delle poche certezze della vita di ogni essere umano e probabilmente anche di ogni alieno. Questa affermazione vale ancora di più se riferita al cinema, infatti nel decennio dominato da capelli voluminosi e mullet (orrendo taglio di capelli corto davanti, sopra e sui lati e lungo dietro) è stato probabilmente il più prolifico di tutti e non è un caso che molti dei film oggi considerati cult sono stati girati in questi anni.
Tra i film che appartengono di diritto a questa categoria vi è sicuramente Willow, fantasy del 1988 che vede George Lucas come ideatore del soggetto e produttore, alla regia Ron Howard e con protagonisti Warwick Davis (noto per aver vestito i panni dell’ewok incontrato da Leia in Il ritorno dello Jedi) e un giovane Val Kilmer.
La pellicola vede protagonista Willow Ufgood (Warwick Davis) contadino di un piccolo villaggio di Nelwyn (nani) il cui sogno è divenire uno stregone. Un giorno i due figli di Willow trovano sulla riva del fiume vicino al villaggio una bambina Daikini (ovvero umana). La bimba, il cui nome è Elora Danan, è una principessa il cui destino è quello di sconfiggere la malvagia regina Bavmorda, la quale era salita al potere facendo uccidere la madre e la nutrice di Elora per evitare l’avverarsi di una profezia.
Seguendo i consigli di High Aldwin, il saggio vecchio del villaggio, Willow intraprenderà un lungo e difficile cammino per portare Elora al suo popolo. Durante il viaggio il piccolo uomo sarà aiutato dal guerriero Madmartigan (Val Kilmer), da due folletti e dalla vecchia strega Fin Raziel, intrappolata in forma di animale, e successivamente anche da Sarsha, figlia della malvagia Bavmorda ma innamorata di Madmartigan.
Willow affronterà e sconfiggerà la strega e una volta lasciata Elora Danan con Madmartigan e Sarsha, nuovi sovrani dei Daikini, che cresceranno la bambina come loro figlia, tornerà al suo villaggio per riunirsi alla sua gente e alla sua famiglia.
L’idea di Willow venne a Lucas già nel 1972 ma a causa di vari impegni, American Graffiti prima e Star Wars in seguito, mise da parte il progetto. Lo riprese nel 1985 quando avvicinò Ron Howard il quale in quel momento era impegnato con la post produzione di Cocoon, i cui effetti speciali erano a cura della Industrial Light & Magic. Per la sceneggiatura venne contattato Bob Dolman il quale aveva pensato a ben sette differenti bozze per la trama per poi giungere alla stesura definitiva nel 1986.
Le riprese iniziate nell’aprile del 1987 si sono concluse nell’ottobre dello stesso anno e la pellicola è stata girata per la maggior parte agli Elstree Studios di Hertfordshire in Inghilterra, in Galles e Nuova Zelanda. Inoltre poiché la Cina non diede il permesso alla produzione di girare nel sud del Paese vennero inviati dei fotografi per immortalare specifici scenari usati successivamente grazie al blue screen. Come sempre quando c’è lo zampino di Lucas gli effetti speciali sono opera della Industrial Light & Magic che per Willow per la prima volta utilizza il morphing digitale.
Inizialmente il titolo del film avrebbe dovuto essere Munchkins e come Star Wars ha dato vita a situazioni mitologiche ben riconoscibili al pubblico adolescenziale cui il film era rivolto. Lucas aveva offerto il ruolo a Davis già sul set de Il Ritorno dello Jedi nel 1982 ma passarono cinque anni prima che Willow si concretizzasse e riguardo al film il cineasta ha dichiarato: “Ho sempre pensato fosse una grande cosa usare una piccola persona nel ruolo di protagonista. Molti dei miei film riguardano un piccolo ragazzo che combatte contro il sistema, in questo film l’idea è semplicemente più letterale” inoltre ha affermato che il motivo per cui il film fu girato negli anni ’80 è perché quando lo aveva pensato gli effetti speciali non erano abbastanza avanzati per dare vita alla sua idea.
Non è stato facile per Lucas ed Howard trovare una major disposta a co-finanziare e distribuire Willow poiché molte consideravano il genere fantasy oramai morto, convinzione dovuta agli insuccessi di pellicole come Krull, Legend, Dragonslayer e Labyrinth. Visti i molti rifiuti l’ideatore della storia si rivolse alla Metro-Goldwyn-Mayer che all’epoca era guidata da Alan Ladd Jr., lo stesso che nel 1977 a guida della 20th Century Fox appoggiò l’idea di Star Wars. La MGM però all’epoca non navigava in buone acque e così l’accordo tra la casa di produzione e Lucas vedeva l’anticipo di metà del budget da parte di Ladd in cambio di diritti teatrali e televisivi e lasciando alla Lucasfilm i diritti homevideo e della pay tv offrendo in cambio l’altra metà dei 35 milioni di budget.
Willow venne proiettato e promosso al Festival di Cannes del 1988 e arrivò in 1209 cinema USA il 20 maggio dello stesso anno. La pellicola nei soli Stati Uniti ha incassato 57 milioni di dollari – di cui 8 nel primo week end di programmazione, risultando un discreto successo al botteghino ma non il blockbuster che Lucas si aspettava. Ciò dipese sia dal doversi confrontare con film come Crocodile Dundee II, Big e Rambo III sia a causa di recensioni contrastanti che ne lodavano la narrazione ma stroncavano il resto. Nonostante ciò nel giro di poco tempo Willow è divenuto un cult tra gli appassionati e ha conquistato il mercato home video, essendo ancora oggi uno di quei film che ogni amante del cinema ha nella propria videoteca personale.
Nonostante recensioni discordanti e in molti casi poco lusinghiere la pellicola con Davis e Kilmer è riuscita a conquistare il pubblico grazie ad una storia che per quanto semplice è molto avvincente. Se è indubbio che la storia raccontata in Willow non sia del tutto originale visto che è il più classico dei viaggi dell’eroe, d’altra parte essa ha il pregio di riuscire ad emozionare e coinvolgere lo spettatore a distanza di quasi 30 anni. Probabilmente ha un finale un po’ frettoloso ma ciò non toglie che rimane un film adatto a tutti e che nonostante l’accoglienza non proprio calorosa al botteghino resta uno di quei cult da vedere.
Punto di forza è sicuramente la colonna sonora scritta da James Horner ed eseguita dalla London Symphony Orchestra. Influenzati da componimenti come la Messa glagolitica di Leos Janacek, dal Requiem di Mozart, Danza araba di Edvard Grieg, composizioni di Sergei Prokofiev e molti altri, la colonna sonora di Willow riesce a fondere alle scene un senso di mitologia e completezza uniche e nonostante sia molto presente è tutt’altro che invasiva.
Senza dubbio Willow è una pellicola con non pochi difetti e probabilmente appartiene a quei prodotti validi ma girati nel periodo sbagliato ma resta comunque un film genuino, divertente e di grande intrattenimento, un cult da recuperare se non lo avete visto.
Ancora una volta andiamo dietro le quinte del grande successo animato Disney Zootropolis grazie a Variety , che dedica un video all’animazione del film all’interno della sua rubrica Artisans.
Sotto i riflettori c’è Kira Lehtomaki, artista dei Walt Disney Animation Studios che in Zootropolis ha ricoperto il ruolo di supervisore dell’animazione per il personaggio di Judy Hopps. Il compito di Kira è stato dunque quello di coordinare tutti i vari animatori che hanno progettato, modellato e dato vita alla coniglietta, oltre che ovviamente di realizzare alcune scene in prima persona come supervisore.
Il video, che potete vedere qui sotto, è ricco di curiosità e contenuti interessanti a cominciare dall’osservazione diretta degli animali che gli artisti hanno svolto nel corso delle loro ricerche in Africa. Ci sono poi numerosi test per l’animazione di Judy che servivano a studiare un modo per armonizzare la componente antropomorfa con i movimenti e i comportamenti tipici dei conigli e persino alcune clip delle sessioni di doppiaggio di Ginnifer Goodwin, voce originale di Judy.
Vi ricordiamo che Zootropolis è attualmente disponibile in commercio in Blu Ray e DVD.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=qc4jhxAmGng&w=560&h=315]Nel generale appiattimento dell’originalità a Hollywood, la Laika Entertainment è una boccata d’aria fresca.
Abbiamo parlato spesso (l’ultima volta QUI) di come anche la Disney si sia piegata nel giro di pochi anni al sistema che non concepisce quasi più i film come opere standalone, bensì come franchise destinati a durare fino a quando dura il gradimento del pubblico. Non si può certamente biasimare l’azienda per essersi uniformata infine a ciò che i suoi competitor facevano da almeno una decina d’anni, tuttavia la situazione è diventata abbastanza ridicola dopo la valanga di sequel e remake in live action annunciati di recente.
È interessante ascoltare invece le pochissime voci contrarie che ancora si distinguono. Una di esse è quella di Travis Knight, CEO della Laika Entertainment, studio che negli ultimi anni ci ha regalato piccole perle in stop motion come Coraline e la porta magica, ParaNorman e Boxtrolls e che è attualmente nei cinema americani con la sua ultima e acclamata fatica, Kubo e la spada magica.
Dalle pagine di Cartoon Brew:
“Io mi pronuncio decisamente contro i sequel. I miei colleghi sono infatti abbastanza scioccati nel vedere quanto sono deciso a non fare sequel. Sicuramente ce ne sono di bellissimi, come Il Padrino II o L’Impero colpisce ancora, ma penso che se guardiamo all’industria attuale possiamo notare che è dominata da franchise e brand, remake, sequel e prequel dove tutti questi regali vecchi sono ri-incartati e offerti una seconda volta come se fossero nuovi.
[…] È così difficile creare delle opere d’arte. Noi ci mettiamo tutti noi stessi ed è faticoso, devi dare un pezzo di te a questi film. Se dobbiamo sforzarci così tanto, deve essere per una buona causa, deve significare qualcosa. Io non voglio raccontare sempre le stesse storie. Per come la vediamo noi, immaginiamo ogni film come l’esperienza più significativa della vita dei nostri protagonisti. Se la pensi così, il tuo sequel sarà automaticamente A) qualcosa che smentisce la tua idea iniziale, ovvero la seconda esperienza più significativa della sua vita? oppure B) devi ingigantire le cose talmente tanto che i tentativi per giustificare la sua esistenza diventano quasi comici. Io non sono interessato a queste cose. Non voglio farle, voglio raccontare storie nuove e originali.”
Ma non è tutto, perché Knight va addirittura oltre ipotizzando un possibile film in animazione tradizionale targato Laika, un’idea che sarebbe decisamente fuori dagli schemi almeno per quanto riguarda la situazione attuale dell’animazione americana. Ecco la sua dichiarazione in proposito:
“Spero che prima o poi riusciremo a fare un film in 2D. Credo di avere una fissazione per le forme d’arte che stanno per morire. Perché al momento nessuno sta seriamente lavorando a un film in animazione tradizionale. Tuttavia, molta dell’animazione più bella mai realizzata è stata fatta in 2D. Io sono diventato un animatore proprio in questo modo: studiando la grande animazione in 2D del passato. È un gran peccato per me vedere questa bellissima forma d’arte essere snobbata in questo modo, quando potrebbe raccontare ancora in modo grandioso delle storie. Mi piacerebbe fare col 2D ciò che abbiamo fatto con la stop motion: prendere ciò che amiamo da questa tecnica e provare a creare qualcosa di nuovo. Col tempo, mi piacerebbe davvero provarci.”
Per la situazione attuale dell’animazione 2D in Disney, vi rimandiamo a questo articolo. Non perdetevi anche la nostra intervista con l’artista di Laika Steve Emerson.
Nel frattempo, la Laika vi aspetta al cinema il 3 novembre con il film Kubo e la spada magica, un’epica avventura ambientata nell’antico Giappone che sta già conquistando pubblico e critica in America.
I Walt Disney Animation Studios hanno pubblicato sul loro canale Youtube un video che illustra i software che gli animatori hanno utilizzato per realizzare la neve in Frozen.
Mentre una volta era necessario disegnare e animare ogni fiocco di neve a mano, oggi gli artisti possono beneficiare dell’aiuto del computer che ovviamente semplifica il processo. Ma anche utilizzare dei programmi comporta numerosi studi, per esempio sulle proprietà fisiche e sulla reazione della neve alle diverse situazioni climatiche a cui può essere sottoposta.
Ma ovviamente non è sufficiente che la neve sia realistica dal punto di vista fisico, deve anche essere in stile Disney e soprattutto funzionale alla storia che si sta raccontando e ai personaggi che interagiscono con essa.
Lo stesso programma che vedrete nel video viene applicato inoltre anche per creare altre sostanze, come ad esempio il fango o la lava.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=z4e9i0sCX7c&w=560&h=315]