Sulla carta poteva sembrare un semplice esercizio di stile.
In realtà non lo è.
Il Libro della Giungla, non quello del 1967, ma quello quel 2016, che da domani potrete trovare in tutte le sale, è più di un futile esercizio di stile.
Pur essendo realizzato per l’80% in quella che in modo improprio chiameremo grafica computerizzata, nulla vi farà dubitare di ciò che vedrete scorrere, crescere o zampettare davanti ai vostri occhi. Dal pelo della famiglia adottiva di Mowgli, il cucciolo d’uomo cresciuto nella giungla più selvaggia, composta da lupi, alla pelle dell’enorme e ipnotica Kaa, passando per il miele tanto bramato dall’orso Baloo, ai profondi ed espressivi occhi di Baaghera.
Il piccolo Neil Sethi, alla sua prima interpretazione, non poteva trovarsi davanti a sfida maggiore, eppure riesce a destreggiarsi fra acrobazie, espressioni buffe, facce arrabbiate e sentimenti contrastanti, girando tutto a Londra, circondato solo da Green Screen.
Contrariamente a Maleficent – Il Segreto della Bella Addormentata, seguendo fortunatamente il filone narrativo iniziato lo scorso anno con Cenerentola, la seconda versione “su pellicola” realizzata sotto il nome di Walt Disney e basata sulle avventure narrate da Rudyard Kipling risulta più omogenea del Classico. Forse non troverete nulla di non visto ma vedrete un film che in (quasi) cinquantanni si è evoluto come farebbe la migliore specie. Si è trasformato in qualcosa di più moderno, di ben strutturato grazie a quello che in gergo tecnico verrebbe definito un ottimo lavoro di set up e pay off, rendendo intrigante una storia che, spero, non potrebbe esser più vista e amata. Grazie a qualche scelta inaspettata rispetto al film del ’67, evidente tocco di Jon Favreau, in linea con il suo forte senso rispetto per l’ambientazione del lungometraggio e la cultura che gli gira intorno, come avvenuto per altre sue opere, il film sarà più che una mera versione con attori e tanta CGI di un famoso romanzo.
Con meno ironia, posizionata strategicamente e sostituita da citazioni dettate dal film di Wolfgang Reitherman (ma non solo!), il nuovo Libro della Giungla tratta e sviluppa in modo semplice e diretto, per un pubblico evidentemente di giovane età ma non per questo non degno dell’attenzione di uno spettatore adulto, temi come l’essere sé stessi, in una società (la nostra si intende) dove si urla libertà imponendo convenzione sociali. Chi ha detto che bisogna cambiare per vivere nella giungla? Perché non potremmo sfruttare i nostri punti di forza ma dovremmo adattarci a simulare quelli dei altri esseri, venendo meno alla nostra naturale condizione di essere viventi? Mowgli, nel corso delle sue avventure e dei suoi incontri, ce lo farà capire. Al centro di tutto, poi, più della precedente versioni, la famiglia, sviluppando, oltre i rapporti di amicizia con i Bagheera e Baloo, sopratutto il legame fra il piccolo umano e i lupi, con la figura materna di Raksha, aspetto praticamente assente nel primo film. Personaggi con ruoli ingombranti come Kaa vengono ridimensionati per dar spazio a un forte Re Louie o un manipolatorio e premonitore Shere Kan, antagonista presente dai primi istanti della pellicola fino alla fine. Personaggi, poi, come gli avvoltoi, anni fa fini a sé stessi, sono stati quasi definitivamente eliminati (riducendoli a un cameo) per mostrarci una giungla popolata da animali esotici, variopinti e meno comuni, com’è giusto che sia, che vivono in pace, rispettandosi vicenda, dal piccolo topo al grande elefante.
Interessante, poi, la scelta di dare un tocco in più alla produzione, trovandoci in un epoca leggermente più sviluppata, per quanto metterei un punto di domanda alla fine della precedente affermazione, dando un ruolo centrale a figure come la già citata Raksha, la lupa, o la versione femminile e seducente di Kaa, il pitone, espressamente voluta dal regista.
Fine, poi, il lavoro che John Debney riesce a fare con le musiche. Veterano del cinema e più volte collaboratore con la The Walt Disney Company (Hocus Pocus, Pretty Princess, Le Follie dell’Imperatore per dirne alcuni), riesce a prendere il meglio delle storiche e iconiche composizioni di George Burns donandogli un tocco più ritmato, per ricreare atmosfere nostalgiche regalando imperdibili accordi ai più piccoli e sentimentali momenti ai più grandi. E dove, necessario, creando tracce che si amalgamano perfettamente alle composizioni del ’67. Soprattutto per scene d’azioni meravigliose che in una giungla, dove si lotta per la propria sopravvivenza, non possono non esserci. Vi avviso: sarà d’obbligo cantare con Baloo (e non solo).
Un appunto, infine, va fatto all’eccellente doppiaggio italiano, con particolare riferimento a Neri Marcoré (Baloo), Giancarlo Magalli (Re Louie), Toni Servillo (Bagheera), Violante Placido (Raksha) e Giovanna Mezzogiorno (Kaa) che, eliminando per un attimo l’aiuto di effetti sonori, riescono a dare il meglio delle loro voci a questi meravigliosi e stupefacenti personaggi animaleschi, aiutando lo spettatore a notare in modo del tutto naturale il lavoro espressivo che gli studi hanno raggiunto in questi anni.
Con questo nuovo Il Libro della Giungla ci si spinge al limite della tecnologia, la si usa a proprio piacimento per creare un modo perfetto che unito allo spirito degli studi del 1967, ad amati personaggi e, per i più grandi, ad un pizzico di nostalgia, faranno si che sarà impossibile non far scendere quella tanto nascosta lacrima sulle note de “Lo Stretto Indispensabile“, in quel clima di pace e serenità, mentre un simpatico orso e il suo amato cucciolo d’uomo navigano in torrenti smeraldini, o con la chiusura del film (in linea con l’apertura), grazie a un omaggio più che meritato e che son certo che lo stesso Walt Disney avrebbe apprezzato.