Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo (in originale Ookami Kodomo no Ame to Yuki, per gli amici Wolf Children) è un film d’animazione giapponese diretto da Mamoru Hosoda, uscito in Giappone durante il 2012. Distribuito in Italia da Nexo Digital e Dynit con un evento unico al cinema nel 2013, quest’ultima ha finalmente distribuito il film in home video (DVD e Blu Ray) il 29 Gennaio 2014!
“La giovane Hana è una ragazza allegra e determinata, che studia in un’università alla periferia di Tokyo e si mantiene svolgendo diversi lavori part-time. Un giorno, in un’aula dell’università, Hana nota uno studente che le sembra completamente diverso da tutti gli altri. Incuriosita, lo segue e gli propone di studiare assieme a lei. Lentamente, tra i due giovani sboccia l’amore e per Hana sembra giunto il momento di realizzare i progetti di una vita a due. Ma il giovane nasconde uno sconvolgente segreto. Una notte, davanti ad Hana, assume le sembianze di un grosso lupo….”
Mamoru Hosoda, dopo i suoi primi film “La ragazza che saltava nel tempo” e “Summer Wars”, ci propone l’opera terza. Quella forse più completa e caratteristica del regista.
Se nel suo primo film aveva puntato l’attenzione sul tema del tempo, della sua irriproducibilità e della crescita adolescenziale, ed in “Summer wars” esplorava l’importanza dei legami affettivi e familiari; in Wolf Children opera una sintesi di tutte queste tematiche.
Wolf Children infatti è il “miracolo della vita” (avere dei figli) che si compie e si evolve in tutte le sue forme. Tragiche ma anche gioiose e piene di luce. In due ore di film vengono riassunti 14 anni di vita, uno slice of life portato agli estremi che non abbona niente allo spettatore. È la storia di una studentessa che diventa madre, e che per i suoi figli si trova a doversi sempre mettere in gioco.
L’espediente narrativo che viene usato per dare inizio alla storia è quello del meta-racconto. è la figlia, Yuki, che dopo essersi trasferita nel dormitorio della scuola media rivive gli anni dell’infanzia attraverso le memorie ed i racconti della madre. È il meta-racconto che, aiutato da sequenze con musiche strumentali o da nette cesure con una schermata nera, permette alla storia di scorrere per un grande arco di anni.
Il centro della narrazione è il rapporto tra la madre ed i due figli, che hanno caratteri diametralmente opposti. Per rendere ancora più estrema questa classica situazione familiare, Hosoda ha voluto inserire l’elemento mannaro. Un escamotage che riesce ad intercettare il rinato interesse per le storie di licantropi, ma che è soprattutto funzionale al film. La necessità per Ame e Yuki di doversi confrontare continuamente con la loro doppia natura, umana ed animale, permette la creazione di situazioni più irreali ed estreme rispetto ai semplici umani. Possibilità che permette al regista di esplorare in maniera estremamente più efficace la crisi e la ricerca di una propria identità da parte dei due bimbi. Una ricerca che non è solamente interiore, ma profondamente influenzata dalla realtà. Un concetto che viene sintetizzato in due episodi chiave, dove l’intervento del caso e le relazioni con gli altri influenzano lo svolgersi della vita stessa. (Qui sarebbe da citare la celebre frase di Somni 451 da “Cloud Atlas”, ma evito per non appesantire troppo il discorso.)
Il film quindi è un gioco di opposti: madre e figli, famiglia e società, città e campagna.
La città è un ambiente che viene vissuto come uno spazio di ristrettezze, solitudine, ma soprattutto di egoismo. La vita in città scorre, molto spesso, nell’indifferenza di chi sta vicino. Hana e il compagno lavorano per bastare a se stressi. Ma nel momento di maggiore difficoltà per la famiglia, la società chiude loro le porte in faccia. Il rumore notturno dei figli viola il contratto d’affitto, e gli inquilini del condominio chiedono ad Hana di trasferirsi altrove.
È in questa situazione che la famiglia trova rifugio in campagna, vista inizialmente da una prospettiva urbana (come un luogo per isolarsi), ed unico posto che permetta ai figli di manifestare liberamente la loro doppia natura. Ma ad Hana basta poco tempo per capire che le regole di vita rurali sono diverse. Qui il proprio lavoro non è svolto solo per i propri bisogni, ma il lavoro del singolo deve poter creare benefici anche ad altre persone. È il senso “dell’orto grande”, della comunità dove se ad una persona manca qualcosa, gli altri cercano di sopperire dove possono. Collaborare piuttosto che isolare.
Ovviamente quella che viene presentata è una visione un po’ idealizzata della campagna, quasi romantica. Che però sopravvive ancora in alcune (rare) zone,ed ha molto da insegnare.
Parte tecnica
L’animazione di questo film è probabilmente tra le migliori che il Giappone possa attualmente offrire. Lo stile scelto da Hosoda si mantiene a linea dei suoi precedenti lungometraggi, ed in generale con quello dell’animazione giapponese recente: con sfondi e scenari dettagliatissimi sui quali si animano personaggi stilizzati. Vi è un abbondante uso di CGI (computer grafica), che viene però piegata allo stile ed alle forme del disegno a mano, risultando pertanto integratissima ed a volte quasi indistinguibile.
La colonna sonora funziona egregiamente, con intere sequenze nelle quali la musica è protagonista. Un po’ debole il tema canoro del film, compensato in parte dal testo (Che inspiegabilmente non è presente come sottotitolo durante i titoli di coda, ma lo si può leggere nel contenuto speciale “Presentazione del tema musicale”)
Infine l’edizione FIRST PRESS con cui Dynit presenta il film è di tutto rispetto. Si presenta con una semplice ma elegante slipcover, che una volta tolta svela l’uso di alcuni schizzi preparatori come copertina per l’amaray, All’interno sono contenuti i due dischi (uno con film e l’altro con i contenuti speciali), una serie di cartoline con i bozzetti dei personaggi, ed infine un piccolo ma interessante booklet con un’intervista al regista, brevi biografie sugli autori, sui doppiatori originali e sulla tecnica mista CGI-2D.
Conclusione
Probabilmente leggendo questa recensione vi sarete accorti che si parla molto spesso della madre, e poco dei figli, dai quali oltretutto il film trae il nome.
Questo perché i due bambini lupo sono il carburante del film, ma il motore che aziona e su cui ruota tutta la storia è un altro, è Hana.
Tutto il film è focalizzato verso un singolo punto, presentare un omaggio alle madri ed al loro ruolo di punto fermo e motore della società. Hana incarna l’ideale più alto esistente della figura materna, quello di una persona che si adopera in qualsiasi modo per essere sempre di supporto ai propri figli. Un attaccamento che la porta a compiere il classico errore che ogni genitore commette, quello di sperare che i propri figli rimangano piccoli per sempre. Ma la vita scorre inesorabile, ed irrompe in tutta la sua forza.
Film più che consigliato, consigliaterrimo!