Arriva oggi al cinema Kubo e la spada magica, l’ultima fatica della LAIKA, studio di Portland (Oregon) specializzato nell’arte della stop motion.
Ciò che i geni di LAIKA stanno portando avanti da qualche anno a questa parte è una vera e propria rivoluzione della tecnica, che sotto la loro guida sta arrivando a livelli mai raggiunti prima. Tanto per cominciare, questi folli artisti hanno sviluppato Hybrid, un sistema di integrazione della stop motion (che prevede la realizzazione fisica di pupazzi, bambole, oggetti e ambientazioni) con gli effetti speciali e la computer grafica. Hybrid è un modo intelligentissimo di utilizzare la CGI come supporto e arricchimento della costruzione fisica dei personaggi e quasi mai come completa sostituzione. Insomma, un po’ come facevano i Disney Studios di fine anni ’90 e inizio era 2000, quando la CGI andava ancora di pari passo con l’animazione tradizionale e poco prima che la fagocitasse totalmente.
Quanto durerà questo idillio a LAIKA è difficile dirlo: i costi produttivi sono altissimi, i tempi lunghissimi e gli incassi di ritorno non esaltanti come quelli di grandi studi come Disney o Pixar. Ma a sentire Steve Emerson, VFX supervisor di LAIKA ospite a View Conference 2016, lo studio non sta prendendo neanche in considerazione l’idea di deviare dalla stop motion e convertirsi totalmente alla CGI. Al contrario, sembrano molto interessati a realizzare un film in animazione a mano.
Mentre teniamo le dita incrociate, ecco qualche domanda dalla nostra roundtable con Emerson, in cui ci ha illustrato le difficoltà incontrate nella produzione di Kubo e la spada magica.
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Steve Emerson ci mostra il meccanismo per montare il viso del pupazzo di Kubo
Come sei arrivato agli studi LAIKA?
Sono entrato in LAIKA nove anni fa, durante la produzione di Coraline e da allora ho contribuito a tutti i film dello studio. Dico sempre che ricordo esattamente quando ho incontrato per la prima volta mia moglie, quando sono nati i miei figli e che ricordo allo stesso modo il mio primo set in stop motion. Ho saputo all’istante che volevo far parte di questo mondo, anche se non avevo la minima esperienza nel campo di questa tecnica.
In cosa Kubo si differenzia dagli altri film che avete realizzato?
Tutti e quattro sono stati difficili per motivi diversi. In Coraline era quasi tutto catturato in camera e realizzato con materiali concreti, ma abbiamo comunque iniziato a sperimentare con la computer grafica, specialmente per quanto riguarda le espressioni facciali e gli sfondi. Con il nostro secondo film, ParaNorman, abbiamo iniziato a pensare alla tecnica Hybrid con la quale ancora oggi realizziamo i nostri film: volevamo raccontare storie di respiro molto grande senza nessun limite e questo non sempre è possibile con la stop motion, così abbiamo pensato di iniziare a integrarla con il digitale. La prova del nove è stato Boxtrolls, dove avevamo molti più personaggi e uno stile molto dettagliato. Kubo invece è al di là di ogni cosa che avevamo fatto prima, ci sono centinaia di personaggi e ben 45 set diversi, ma abbiamo fatto tesoro di tutto ciò che abbiamo imparato nei primi tre film per riuscire a vincere le nuove sfide.
La rivoluzione della vostra stop motion è quella di utilizzare personaggi creati tramite stampante 3D. Dove arriverà questa tecnica in futuro?
Inizialmente nel film Coraline abbiamo pensato di utilizzare la stampante 3D per le espressioni facciali. Questo ci ha permesso di portare la stop motion su altri livelli: per esempio, in Nightmare Before Christmas il protagonista Jack Skellington ha 800 espressioni diverse, mentre Coraline ne ha oltre 200.000. Adesso con Kubo siamo arrivati a milioni. Ciò che stiamo cercando di fare è rendere i pupazzi più realistici possibile per far sì che creino una connessione emotiva con gli spettatori. Speriamo insomma che il pubblico si dimentichi del tutto che sta guardando dei pupazzi. In futuro sicuramente continueremo a utilizzare questo espediente nei nostri film. Man mano che andiamo avanti le dimensioni dei nostri set e delle nostre storie diventano sempre più grandi e ci servono modi per essere più efficienti nel costruire pupazzi, set e oggetti di scena. Sicuramente quindi il 3D printing resterà una parte importante della nostra produzione.
Puoi raccontarci delle difficoltà incontrate per costruire il personaggio dello scheletro, il più grande pupazzo in stop motion della storia?
C’erano molti modi per creare lo scheletro. Il primo era farlo totalmente in digitale, cosa che solitamente cerchiamo in tutti i modi di evitare. La nostra regola è sempre quella di provare a catturare il più possibile in camera: quando iniziamo a lavorare su un nuovo film il primo passo è dimenticarci completamente dell’esistenza del reparto effetti speciali e chiederci “come possiamo costruire questa cosa fisicamente?”. Così abbiamo pensato per un certo periodo di fare una versione più piccola dello scheletro, filmarlo e poi sistemarlo in scala col computer. Tieni conto però che se fosse in questa stanza sarebbe alto 100 metri, dunque in ogni caso per farlo in scala avremmo dovuto creare un pupazzo di 5 metri, cosa che lo avrebbe reso il più grande personaggio in stop motion mai realizzato. Abbiamo pensato poi di crearne solo alcune parti del corpo, ma quando abbiamo letto lo script ci siamo accorti che praticamente ogni suo arto si ritrovava ad interagire coi personaggi. Perciò ci siamo detti: “ragazzi, costruiamolo tutto e basta”. E così alla fine abbiamo montato uno scheletro di cinque metri ed stato una sfida incredibile. Anche dopo averlo ultimato, solo gli sforzi per farlo muovere e filmarlo sono stati quasi insostenibili. Ma ce l’abbiamo fatta!
Leggi l’intervista a Steve Emerson a View Conference 2015