Per parlare di Oceania 2, non si può prescindere dalla sua peculiare storia produttiva, che vale la pena ripercorrere brevemente per comprendere al meglio l’opera.
Il sequel è nato in origine come serie Tv, in un periodo storico in cui l’azienda aveva reso Disney+ la priorità assoluta, impegnando tutte le divisioni in una produzione massiccia di contenuti per lo streaming. Per i Walt Disney Animation Studios, la scelta non poteva che ricadere su Oceania, un film diventato nel tempo un vero e proprio sleeper hit. Infatti, dopo il risultato discreto ma non eccezionale al box office, oggi risulta essere il titolo più visto in assoluto non soltanto su Disney+, ma trasversalmente a tutte le piattaforme esistenti. Il progetto avrebbe segnato un nuovo inizio per i WDAS, che finalmente si sarebbero dedicati a proseguire le loro storie in prima persona, lasciandosi alle spalle la confusione con Disney Television, che aveva curato serie come La sirenetta, Hercules o A scuola con l’imperatore. Per l’occasione era stata aperta anche una nuova sede distaccata a Vancouver, popolata da artisti giovani e da voci nuove.
Nel frattempo, però, c’è stata una pandemia, l’industria è cambiata e lo streaming si è rivelato un modello di business insostenibile. Per di più, Disney Animation è in crisi: da Frozen 2 in poi, con la parziale eccezione di Encanto, non ne ha imbroccata una, e i flop di Strange World e Wish hanno reso assolutamente impellente il bisogno di una hit sicura al botteghino. Ed ecco dunque che Bob Iger è corso ai ripari, ordinando che Oceania 2 fosse riscritto e ri-animato in fretta e furia (il lavoro è stato svolto in meno di un anno) per approdare infine sul grande schermo.
Com’è, dunque, questo “film che non doveva essere un film”? Di buono c’è che il riassemblaggio è stato curato bene: Oceania 2 non appare più episodico del primo, ha un inizio, uno svolgimento e una fine, e l’arco narrativo della protagonista Vaiana si compie senza intoppi. Insomma, non si ha la percezione che siano puntate montate insieme. L’opera trasuda anche amore e rispetto per le caratteristiche che hanno reso il primo capitolo tanto apprezzato dal pubblico: da una parte l’eroina classica, che sogna qualcosa in più dalla vita, dall’altra la sensibilità tutta moderna di trasformarla nella leader del suo popolo, del quale si rappresentano con grande accuratezza i rituali, le tradizioni, la mitologia e i costumi.
E però, il passaggio da serie Tv a lungometraggio comporta anche delle rinunce. La prima è, tristemente, sul piano visivo: alla CGI eccellente, assolutamente all’altezza delle precedenti produzioni WDAS, non si accompagna alcun tipo di ricerca estetica e stilistica, come invece era accaduto per Frozen 2 e Ralph Spacca Internet, che erano film artisticamente autonomi rispetto ai loro predecessori. La storia, poi, appare compattata e mutilata, e finisce per introdurre moltissimi elementi che non vengono mai realmente sviscerati, a partire dai due “cattivi” Matangi e Nalo, dei quali uno non compare mai realmente sullo schermo, mentre l’altro viene presentato e poi rapidamente abbandonato. Lo stesso si può dire per Loto, Kele e Moni, i membri della ciurma di Vaiana, di cui non ci viene raccontato praticamente nulla, e persino per Maui, che ha moltissimo spazio, ma che in sostanza ricopre un ruolo di supporto ben poco incisivo.
Ci sono, infine, una serie di scivoloni che rendono Oceania 2 un film del tutto minore, una sorta di DisneyToon che ce l’ha fatta. La prima è quella di pretendere di alzare la posta in gioco, ricalcando però in tutto e per tutto la struttura narrativa elementare del primo film. Con Oceania, John Musker e Ron Clements avevano realizzato un classico Disney di una volta: i protagonisti partono per un viaggio, fanno degli incontri con personaggi più o meno buffi, si canta qualche numero musicale, si sfida l’antagonista e infine si torna a casa. Qui, però, c’è l’intenzione di toccare vette epiche e drammatiche completamente differenti: c’è una profezia, si afferma che Vaiana partirà per un viaggio da cui potrebbe anche non tornare, si parla di morte e di restare in mare per settimane, se non per mesi. Peccato che nulla di ciò che viene espresso a parole trovi poi riscontro nel film, in cui l’isola così introvabile… viene trovata praticamente subito, e in cui gli sparuti tentativi di creare tensione drammatica vengono soffocati facilmente. Manca anche Lin-Manuel Miranda, e la sua assenza pesa: la colonna sonora è debole, le canzoni non sono incisive e le sequenze musicali sono visivamente poco ispirate (addirittura, per quella di Maui è stato ricalcato in tutto e per tutto lo stile di You’re Welcome…).
Insomma, Oceania 2 e la sua scena post credits che strizza l’occhio alla Marvel ci hanno lasciato combattuti. Forse avrebbe funzionato meglio come serie Tv, forse avrebbe necessitato di un tempo di lavorazione più lungo. Di sicuro è ciò di cui lo studio ha bisogno: farà tanti soldi, e questo è un bene. Che non diventi una prassi, però: dai prossimi sequel dei Walt Disney Animation Studios ci si aspetta ben altro.