Ben pochi franchise animati sono stati vittime di tanto odio come è successo alla saga di Cars. Se il primo episodio venne accolto in maniera discreta, sul web l’insofferenza per le automobili parlanti è cresciuta dopo il sequel del 2011, colpevole di aver causato un tonfo per i Pixar Animation Studios, che fino a quel momento ci avevano graziato con un capolavoro dopo l’altro (nell’ordine: Ratatouille, Wall-E, Up, Toy Story 3).
La realtà è che i film di Cars sono tutt’altro che brutti, piuttosto hanno avuto la sfortuna di nascere film “minori” all’interno di una filmografia che fino a qualche anno fa non sbagliava neanche un colpo. E soprattutto in Cars è molto più visibile che in altre pellicole la matrice commerciale: il franchise è senza dubbio nato dalla passione di John Lasseter per i veicoli, raccogliendo una delle migliori tradizioni dei Disney Studios ovvero quella degli oggetti parlanti, ma anche dopo i risultati non brillanti al box office, è stato portato avanti grazie ai miliardi di dollari che ogni anno incassa in automobiline giocattolo. Infine, Cars è una saga che più di ogni altro lavoro Pixar è diretta ai bambini più piccoli, e forse proprio questo ha creato il fastidio del pubblico adulto verso le auto parlanti.
Dopo il flop del secondo capitolo c’era dunque la necessità di rinnovare la saga e John Lasseter ha pensato bene di farlo tirandosi da parte e lasciando la sedia del regista all’esordiente Brian Fee, storyboard artist nei primi due capitoli qui alla sua prima prova dietro la macchina da presa. Operazione riuscita? Sì e no. Da una parte Fee riesce in maniera ottimale a reinserirsi nella tradizione del primo Cars, di fatto cancellando con un colpo di spugna il secondo, recuperando la centralità del personaggio di Saetta McQueen e soprattutto l’ambientazione e lo spirito totalmente americani, il mondo delle corse statunitense, quella dolceamara nostalgia per gli antichi fasti del passato e per i grandi campioni di una volta che già avevamo assaporato nel primo capitolo. Tutto questo c’è ed è anche ben fatto, ma la regia di Fee offre ben poco altro di originale e innovativo, come ci si aspettava da una nuova voce: registicamente, Cars 3 è uno sguardo indietro all’esempio di Lasseter, e Fee rimane prudentemente su un sentiero già tracciato, rendendo il film privo di personalità.
Interessante però che un film che guardi così tanto al passato, sia per tematiche che per spirito e atmosfere, sia anche un film in qualche modo proiettato nel futuro. Saetta McQueen è ormai diventato vecchio ed è prossimo alla pensione, ma sente di non essere ancora pronto per dire addio al mondo delle corse, mondo che nel frattempo però è cambiato e in cui lui è rimasto come un pesce fuor d’acqua. Nonostante i suoi sforzi il campione non riesce a stare al passo con i nuovi piloti, semplicemente perché loro sono più giovani e scattanti. Che fare allora? Continuare a tentare di spingersi oltre i propri limiti o rassegnarsi all’evidenza e affrontare il difficile momento del passaggio di testimone cedendo il podio alle nuove generazioni?
La risoluzione, per quanto telefonata sia praticamente dal primo minuto, è in fondo la conclusione perfetta per questa saga, e ha un che di coraggioso: dal punto di vista narrativo, dal punto di vista emozionale e persino dal punto di vista commerciale, per un particolare risvolto che non anticiperemo per non fare spoiler. Questo tipo di conclusione è ciò che rende Cars 3 un film tutto sommato necessario, un’opera non eccezionale ma che riesce a chiudere il cerchio nel migliore dei modi riscattando in un certo senso gli errori del passato.
Viene infine da chiedersi cosa stia a significare questa particolare riflessione sulla vecchiaia e sul passaggio di testimone espressa in questo periodo specifico della vita della Pixar, in cui lo studio ha perso la sua centralità a Hollywood e si è visto soffiare il trono dalla rinata mamma Disney. Perché Cars 3 parla di brand in contrapposizione con l’autenticità, parla di piegarsi alle necessità del mercato o di rimanere fedeli a sé stessi e parla dell’importanza di capire quando è il momento giusto per farsi da parte. Che si tratti di una riflessione autobiografica o che stiamo leggendo troppo in un film d’animazione, è coraggioso ed è maturo da parte della Pixar portare al cinema tematiche del genere, ed è ironico e allo stesso tempo geniale che lo facciano proprio all’interno di questo particolare film.