Leggi anche l’approfondimento sulla trilogia classica
Star Wars è da molti considerata La Saga cinematografica per eccellenza. Quando Lucas nel 1977 portò al cinema il primo episodio della trilogia in pochi credevano nel film, regista incluso. Nessuno infatti si sarebbe mai aspettato che l’avventura di un giovane ragazzo che combatte contro il malvagio Impero Galattico sarebbe divenuta in breve un cult tanto amato.
A distanza di 22 anni dall’uscita del primo capitolo della Saga, quando tutti ormai erano convinti che Star Wars a livello cinematografico non avesse più nulla da raccontare, George Lucas spiazza tutti annunciando una nuova trilogia. In questa nuova avventura il regista racconta la disfatta della repubblica e la nascita dell’Impero Galattico e soprattutto di come Anakin Skywalker sia divenuto il potente e crudele Darth Vader.
Quando il regista annunciò che a breve ci avrebbe riportato in quella galassia lontana lontana che tanti fan amano, la reazione da parte del pubblico è stata contrastante. Chi è stato pessimista sin da subito ritenendo il progetto una mera operazione commerciale e non credendo nella sua riuscita essendo la trilogia originale inarrivabile, e chi come chi scrive, allora quattordicenne, se pur pieno di timori non vedeva l’ora di ritornare in un universo con il quale è cresciuto.
Lucas decise di riprendere in mano la sua creatura più famosa perché convinto che gli effetti speciali fossero ormai evoluto abbastanza per riuscire a ricreare a pieno la sua visione. Il 26 giugno 1997 iniziarono così le riprese di Star Wars: Episode I – The Phantom Menace che si svolsero tra il deserto della Tunisia e gli studi Leavesden.
Basandosi sul retroscena che vedeva Darth Vader un tempo essere un Cavaliere Jedi con il nome di Anakin Skywalker essere poi passato al la oscuro della Forza, la nuova trilogia avrebbe visto protagonista il signore oscuro prima del suo tradimento. La sceneggiatura di questa nuova trilogia si basa su 15 pagine che lo stesso Lucas scrisse nel 1976 per aiutarsi a tenere traccia del background dei personaggi e degli eventi verificatisi dell’intera Saga, una storia che sin dalla sua ideazione era molto ampia.
Inizialmente Anakin avrebbe dovuto avere 12 anni, età poi diminuita poiché il regista era convinto che un bambino nel pieno dell’infanzia avrebbe sofferto maggiormente per la separazione dalla madre, costringendolo così a riscrivere alcune scene della battaglia finale.
Con il titolo provvisorio di The Beginning, per The Phantom Menace grazie ad una maggiore disponibilità economica Lucas decise di adottare «una scala molto più grande ed epica» riuscendo così finalmente a dare a Star Wars lo stile che aveva sempre desiderato. Sviluppando ben cinque trame parallele e simultanee che si intrecciavano tra loro, il cui filo rosso è l’intenzione del Senatore Palpatine di divenire Cancelliere Supremo.
Come nella trilogia originale molte sono le tematiche inserite, e la più evidente è la dualità. La regina Amidala si fa passare per una serva, Palpatine fa il doppio gioco, Obi-Wan inizialmente in conflitto con il Maestro Qui-Gon Jinn finirà per seguirne le orme. A questo va aggiunto il tema dell’equilibrio, non solo per quanto riguarda la Forza, ma anche e in particolare per quanto riguarda i personaggi. Ogni protagonista necessita di qualcun’altra per sentirsi completo.
La realizzazione del film richiese molto tempo di lavorazione. Non solo il lavoro di design richiese due anni di tempo, così come il montaggio, ma anche la creazione degli abiti e dei costumi per gli alieni richiese non poche fatiche. Lucas voleva che The Phantom Menace e quindi l’intera nuova trilogia fossero stilisticamente diversi dalla trilogia originale, che fosse «più ricco e più simile a un pezzo d’epoca, dato che era la storia che precedeva Una nuova speranza».
Anche i combattimenti con le spade laser coreografati da Nick Gillard, coordinatore degli stunt-man, subirono un cambiamento di stile. Gillard decise di fondere vari stili di scherma come il kendo e altri tipi di kenjutsu, con tecniche oscillanti, come mosse da tennista e da taglialegna. Per allenare Liam Neeson ed Ewan McGregor, ovvero i Jedi Qui Gon-Jin ed Obi Wan-Kenobi, venne creata una sequenza di combattimento di 60 secondi ripetuta lentamente e via via più velocemente.
Grazie al grande uso della CGI – solo circa 15 minuti ne sono privi – la produzione non incontrò grandi difficoltà, ad eccezione di una tempesta di sabbia che distrusse parte del set ma che non compromise in ogni caso la tabella di marcia. Anche i problemi dovuti al movimento di R2-D2 vennero superati. La Industrial Light & Magic e il reparto effetti speciali britannico crearono varie versioni del droide che furono usate sul set e che non diedero alcun problema.
Quando Star Wars: Episode I – The Phantom Menace arrivò nei cinema di tutto il mondo fu un grande successo al botteghino battendo molti record di incassi, ma venne accolto in maniera contrastante da pubblico e critica. Se il film venne lodato dal punto di vista visivo e per le scene d’azione – anche se a distanza di anni l’artificiosità della CGI è più che evidente – venne criticato per la storia e lo sviluppo dei personaggi. Ma la critica più grande che i fan muovono a Lucas è la creazione di Jar Jar Binks, alieno di Naboo tanto odioso quanto inutile.
A tre anni di distanza il 16 maggio 2002 è la volta di Star Wars: Episode II – Attack of the Clones. Ambientato 10 anni dopo il suo predecessore, qui troviamo un Anakin ormai adolescente e sempre più irrequieto che ha il volto di Hayden Christensen.
La produzione del secondo episodio della nuova trilogia ebbe una storia più travagliata. Dopo le critiche ricevute per Episode I, Lucas era titubante sul tornare a scrivere, tanto che la prima bozza della sceneggiatura vide la luce solo tre mesi prima l’inizio delle riprese e lo script finale è stato completato solo la settimana prima del primo giorno di set.
Lo script, il cui titolo provvisorio era scherzosamente Jar Jar’s Big Adventure, riprende l’idea dei cloni pensato originariamente per Lando Calrissian. Inizialmente il personaggio interpretato da Billy Dee Williams doveva essere un clone venuto da un pianeta di cloni che hanno causato la guerra menzionata da Obi-Wan in Episodio IV. L’idea fu accantonata ma venne ripresa e riadattata per Episodio II.
Questo secondo film è il più “politico” di tutta la Saga. Infatti non solo la trama ruota intorno al piano di Palpatine di farsi dare poteri sempre maggiori una volta divenuto Cancelliere, ma lo stesso Lucas paragona la sua ascesa a quella di Hitler poiché gli vengono concessi poteri straordinari vista la situazione di guerra civile in cui ormai si trova la galassia. Inoltre in questo capitolo Anakin compie i primi decisivi passi che lo porteranno sul lato oscuro della forza. Il giovane Jedi scopre emozioni come odio, rabbia, possesso, gelosia.
Come La minaccia fantasma anche L’attacco dei cloni fu un grande successo al botteghino, incassando quasi 700 milioni di dollari in tutto il mondo, ma come il predecessore venne accolto in maniera contrastante sia dal pubblico che dalla critica. Se effetti speciali, combattimenti e colonna sonora furono ancora una volta apprezzati, sul banco degli imputati questa volta salirono Christensen e a Portman per la loro recitazione troppo legnosa e il rapporto tra i due personaggi, pieno di cliché.
Immediatamente dopo la fine della produzione di Episodio II Lucas iniziò a scrivere la sceneggiatura per Star Wars: Episode III – Revenge of the Sith, capitolo conclusivo della trilogia prequel. Per la stesura il regista ha dichiarato di essersi ispirato allo stile dei serial anni ’30. Come avvenuto per i due film precedenti, anche per la stesura dello script di Episodio III Lucas ha preso spunto dai vecchi appunti da lui stesso scritti durante la realizzazione della trilogia classica per avere un background dei personaggi da condividere con i suoi collaboratori.
Anche in questo caso la sceneggiatura subì varie modifiche fino a giungere a quella che tutti conosciamo e anche per il titolo vennero presi in considerazione varie opzioni: Rise of the Empire, An Empire Divided, The Creeping Fear (rivelatosi poi un pesce d’aprile) e Birth of the Empire. Alla fine Lucas optò per Revenge of the Sith omaggiando quello che avrebbe dovuto essere il titolo originale di Return of the Jedi, ovvero Revenge of the Jedi.
La realizzazione del film fu come sempre molto lunga e complessa, tanto che a metà della lavorazione venne chiamato un secondo supervisore per gli effetti speciali visto il gran numero di scene in cui sono impiegati. Inoltre la pellicola ha subito il taglio di molte scene, eliminate per questioni di tempo, come ad esempio quella del salvataggio di Palpatine all’inizio del film, che secondo le prime intenzioni di Lucas sarebbe dovuta durare un’ora. Basti pensare che il primo montaggio durava quattro ore per poi essere snellito e durante tale fase alcune scene vennero riscritte e rigirate.
Come nella pellicola precedente anche qui non mancano i cameo dello stesso Lucas, dei suoi figli – Jett Lucas è uno degli ultimi padawan che si oppongono ai cloni – , i supervisori degli effetti speciali John Knoll, Rob Coleman e Roger Guyett, il coordinatore degli stunt Nick Gillard e molti altri.
La vendetta dei Sith debuttò il 19 maggio 2005 e infranse ben quattro record nella sola prima giornata di proiezione: maggior incasso per una proiezione notturna, miglior incasso per il giorno d’apertura, incasso per il singolo giorno e miglior incasso del mercoledì, cui va aggiunto che in soli cinque giorni divenne il maggior incasso dell’anno negli USA.
Come per i predecessori le critiche furono discordanti. I critici di tutto il mondo si divisero tra lodi – in particolare al trio McGregor, Portman e McDiarmid che al film in genere – e condanne senza appello, definendolo in sostanza di una bruttezza senza eguali.
È indubbio che rimettere mano a una trilogia o a un film che ha fatto la storia e che ha conquistato ed affascinato generazioni di fan ed appassionati non è mai semplice. Spesso le aspettative sono così alte da venire puntualmente deluse e spesso si parte già prevenuti nei confronti del nuovo da odiarlo o rinnegarlo ancora prima di vederlo. In fondo quando si parla di sentimenti è sempre una questione delicata.
Non c’è dubbio che con la nuova trilogia Lucas abbia avuto il gran merito non solo di riportarci in quell’universo che tanto amiamo ma anche di aver fatto luce sulla nascita dell’Impero e del tragico destino che ha portato Anakin Skywalker a divenire Darth Vader – anche se la trilogia originale funzionava benissimo anche senza saperlo – e di aver fatto conoscere la Saga di Star Wars alle nuove generazione.
Il problema oggettivo di base è la storia in sé. I nuovi capitoli della Saga mancano di quella magia, di quella poesia che ancora possiede la trilogia classica. Se ancora oggi guardando le avventure di Luke, Leia, Han e Chewbe si rimane affascinati, al contrario guardando la storia di Anakin ci si ritrova in un videogioco fin troppo scintillante dove la confezione è bellissima ma il contenuto è molto deludente, essendo stato tutto ridotto a mera politica, e non bastano i molti richiami alla trilogia originale per riuscire a conquistare i vecchi fan. Le poche note positive di questa nuova avventura sono i combattimenti con le spade laser indubbiamente spettacolari – in particolare il duello tra Anakin ed Obi-Wan su Mustafar -, villain affascinanti come Darth Maul o il Conte Dooku, la colonna sonora ad opera sempre di John Williams e la presenza di attori come Ewan McGregor, Liam Neeson, Natalie Portman, Samuel L. Jackson e Christopher Lee.
Proprio basandosi sul malcontento dei fan della Saga riguardo a questi nuovi capitoli, Alexandre O. Philippe decide di dare voce proprio ai fan nel documentario The People vs George Lucas, sostanzialmente un processo al papà di Star Wars, la cui maggiore e imperdonabile colpa è l’aver creato una saga priva di quella magia che pervadeva quella originale e in particolare Jar Jar Binks.
May the Force be with You!