Mercoledì 21 Ottobre a View Conference 2015, si è tenuto il panel di Shannon Tidle, animatore dal curriculum vasto e variegato: egli può vantare un Emmy per il lavoro svolto per la serie animata prodotta da Cartoon Network “Gli Amici Immaginari di Casa Foster”, oltre che l’essere stato character designer in produzioni come “Coraline e la Porta Magica” e “I Croods”. Ha da poco concluso un’interessante collaborazione con Google Spotlight Stories per la realizzazione di un corto di sua ideazione dal titolo “On Ice” che verrà rilasciato verso la fine dell’anno. Dopo averci spiegato come si lavora all’intero del programma “Spotlight Stories” e averci descritto nei dettagli le fasi di realizzazione del cortometraggio, ce lo ha mostrato in anteprima mondiale, facendoci sperimentare questa stupenda esperienza interattiva. In seguito ci è stato possibile porgli qualche domanda.
Oggi tanti professioni decidono di lasciare i propri impieghi preso le grandi case produttrici di film d’animazione per dedicarsi a progetti indipendenti, spesso autofinanziati, o comunque, come Google Spotlight, in cui gli è garantita la massima libertà creativa. Come mai secondo te? Le major sono diventate “oppressive”?
Ho lavorato in collaborazione con grandi studi per raccontare storie ed è stato molto divertente, ho conosciuto grandissimi talenti. Ma io voglio raccontare le mie storie e oggi ci sono tante opportunità per farlo fuori dai grandi studi. Penso che sia proprio in virtù di queste possibilità che vediamo molti film-maker nel campo dell’animazione che iniziano a lavorare a progetti propri, e anche io voglio continuare a farlo. Ma contestualmente continuo a lavorare anche con le grandi case, provo a fare entrambe le cose. Con questo tipo di tecnologia poi (Google Spotlight ndr), ci stiamo focalizzando sulla realizzazione di cortometraggi per riscoprire un formato che non ha più un grande mercato di distribuzione. Ma credo che comunque si potrebbe esplorare la possibilità di lavorare a lungometraggi con questa tecnica. E penso anche al rapporto tra arte e commercio e a Michelangelo. Egli dipinse la Cappella Sistina e fu pagato per farlo, ma non credo che fosse ciò che voleva realmente dipingere. Ma non aveva possibilità di scegliere: lavorava per un grande studio. I grandi artisti si sono anche venduti alle grandi società di allora per poter dipingere e pagarsi gli altri progetti. Ma hanno comunque creato opere d’arte bellissime.
Durante il panel hai sottolineato che per “On Ice” hai avuto libertà creativa quasi totale. Quanto è importante questo aspetto nel lavoro di un film-maker e d’altro canto quanto può essere disarmante non avere linee guida?
È un’ottima domanda! È davvero molto importante secondo me. Quando si è consapevoli di poter scegliere liberamente e si possono decisioni autonomamente, si è anche più propensi ad accettare suggerimenti. Perché se altre persone mi propongono idee, so che lo fanno per aiutarmi a realizzare un film migliore e che sono mosse da buone ragioni. Ma proprio perché sono io ad avere il controllo del progetto, devo essere realmente sicuro di prendere le giuste decisioni. Se lavoro per un grosso studio, posso incolpare qualcun altro per l’insuccesso del progetto, ma se ci sono solo io, è unicamente colpa mia: ho questa responsabilità.
Quanti registi e narratori pensi siano disposti a mettersi in gioco sperimentando questo nuovo tipo di tecnologia, anche alla luce di questo carico così pesante di responsabilità che bisogna assumersi?
Sembra che siano in molti a essere interessati. Qualche settimana fa sono stato a una conferenza sul futuro dello story telling e molte persone sembravano entusiaste per questa nuova tecnologia. In particolare Justin Lin, che è alla regia del nuovo film di Star Trek, si è mostrato davvero elettrizzato all’idea di creare prodotti interattivi, così come Ridley Scott. Credo che molte persone ne siano attratte soprattutto per la libertà che ti viene concessa grazie a questo medium.
C’è un genere in particolare sul quale sei intenzionato a lavorare in futuro?
Sì, un genere a cui vorrei lavorare per Google Spotlight è l’horror-mystery. Inoltre sto collaborando con la Sony a un film di fantascienza e con la Disney stiamo pensando a qualcosa di favolistico/fantasy. In fondo mi piacciono tutti i generi allo stesso modo. Non credo comunque che il genere sia così importante: per me conta quanto è personale la storia che sto raccontando, che venga da me a prescindere dal genere.