Il mondo di Frozen è stato grande protagonista durante la giornata di mercoledì di View Conference 2017, il prestigioso festival torinese dedicato alla computer grafica e agli effetti speciali. Merito dell’italianissimo Alessandro Jacomini, direttore della fotografia presente in Disney fin dagli inizi della computer grafica con Dinosauri e Chicken Little, giunto a Torino per presentare l’ultima fatica dello studio, il corto (o per essere più precisi la featurette) Frozen – Le Avventure di Olaf.
Il suo talk si è aperto illustrando al pubblico il “progetto Frozen” che stanno portando avanti i Walt Disney Animation Studios: lo speciale con protagonista Olaf, infatti, non è un’avventura parallela o derivativa, bensì è in continuity con il primo film e con il sequel prossimamente in arrivo. “Si tratta di un altro capitolo della storia di Anna e Elsa e della loro quest per capire come si fa a vivere insieme, dopo tanti anni in cui sono state separate.” ha spiegato Jacomini. “Hanno festeggiato il primo compleanno insieme, ora il primo Natale, nel 2018 avremo lo spettacolo di Broadway e infine nel 2019 Frozen 2″.
Per garantire la continuity e l’organicità di questo progetto è dunque necessario lavorare su una base comune e mantenere coerenza visiva, oltre che narrativa, nel mondo di Frozen. Secondo Jacomini questo è stato possibile grazie al lavoro di tre artisti in particolare: David Womersley, Mike Giaimo e Lisa Keene. Con le loro ricerche hanno individuato 3 elementi fondamentali del mondo di Frozen:
- L’elemento organico, ovvero la natura e gli ambienti. Essi sono ispirati ai fiordi norvegesi, che a loro volta vengono dall’ambientazione della fiaba originale di Hans Christian Andersen (La Regina delle Nevi, a cui Frozen è liberamente ispirato) e dalle ricerche degli artisti sul campo. La natura dà l’elemento di verticalità alla composizione: montagne, cascate, alberi, tutti gli elementi naturali in Frozen si sviluppano verso l’alto dando l’idea di maestosità e dramma.
- L’architettura, in particolare le chiese di legno tipiche della Norvegia. Esse stabiliscono una forma geometrica ben definita caratterizzata dal triangolo, inoltre sono arricchite dai dettagli come gli intagli nel legno. Le ritroviamo nel castello di Arendelle, che contrasta sia con gli altri castelli Disney che con quanto spiegato al punto 1. Infatti il castello rappresenta l’elemento orizzontale, non si sviluppa in verticale seguendo gli elementi naturali, ma rimane basso sul fiordo e circondato dalle case del paese. Questo crea il contrasto con le montagne e il paesaggio sovrastanti, suggerendo l’opposizione tra senso di dramma e di tranquillità e familiarità.
- Il Rosemaling, ovvero i dettagli di fiori, incisioni o decori che si rintracciano specialmente negli abiti o negli oggetti (ma non solo). Questo è l’elemento che unifica i personaggi al paesaggio, perché è l’unica cosa che hanno in comune. Per esempio, il mantello di Elsa è decorato con fiocchi di neve, che sono anche la base della struttura del suo palazzo di ghiaccio. In Le Avventure di Olaf si è mantenuto questo elemento: il decoro del mantello ricorda la forma di un albero di Natale, un elemento centrale in un’importante sequenza del film.
Dopo un corto solare ed estivo come Frozen Fever, si è scelto di ambientare Le Avventure di Olaf in inverno, tornando quindi al setting originale freddo e innevato. Con un’importante variazione: mentre nel lungometraggio di Frozen l’inverno doveva dare una sensazione di ostilità, essendo nato dall’incapacità di Elsa di controllare i propri poteri, questa volta ci troviamo a Natale e dunque la sensazione dev’essere quella di famiglia, accoglienza e calore.
Oltre a cambiare i colori della palette è stato quindi necessario studiare di nuovo le luci. Due sono state le ispirazioni principali: la città di Bergen in Norvegia, che ha costituito la base per il villaggio, e un vero Ice Hotel che la crew ha visitato in Quebec. Si tratta di un hotel di ghiaccio che ogni anno viene non solo smontato e rimontato, ma soprattutto decorato con incisioni e giochi di luce. Per Jacomini e il suo team l’osservazione sul campo è stata importante perché ha permesso di visualizzare nella realtà il comportamento della luce sul ghiaccio, e non solo della luce naturale. L’osservazione dell’Ice Hotel è stata combinata con lo studio di spettacoli di Broadway e produzioni teatrali in modo da creare un’illuminazione che non sia totalmente fotorealistica, bensì stilizzata, ma comunque plausibile. In particolare l’utilizzo del cosiddetto “pool of light” permette di separare i personaggi dallo sfondo, ma soprattutto di evocare atmosfere, emozioni, e in generale di aiutare lo spettatore a comprendere cosa il personaggio sta pensando e provando.
Il talk si è concluso infine con la proiezione di una sequenza musicale dal corto, accompagnata dalla canzone That Time Of Year. La sequenza comprende anche una scena in cui gli animatori hanno giocato con la stilizzazione bidimensionale dei personaggi, realizzandoli come se fossero intrecciati in un tessuto di lana.
Ecco infine alcune domande che abbiamo posto a Jacomini per approfondire:
Durante il tuo talk hai parlato dell’organicità del franchise di Frozen: i cortometraggi saranno in continuity con i due film, per un progetto che non ha praticamente eguali su questa larga scala. A livello di studio, chi è che controlla e mantiene questa coerenza interna, soprattutto dal momento che i registi possono cambiare, come è accaduto per Le Avventure di Olaf?
La mente e il cuore dei nostri progetti è certamente John Lasseter, che ci coordina insieme a Ed Catmull. Ma è soprattutto John ad avere la visione d’insieme. È davvero un geniaccio, che ha capito le potenzialità del mondo di Frozen e ha capito che valeva la pena portarlo avanti e mantenerlo vivo. Ha visto che c’era la possibilità di raccontare nuove storie e che quell’universo non si era esaurito con il primo film. Ovviamente poi John si affida agli autori originali, nel caso per esempio del corto Frozen Fever la necessità l’hanno sentita i registi del film Chris Buck e Jennifer Lee: avevano da pochi mesi finito di girare Frozen, ma la voglia di tornare a lavorare con quei personaggi era talmente tanta che hanno voluto raccontare una nuova storia.
Hai parlato anche di un uso dell’illuminazione più “stilizzato”. Come si confronta questo con l’utilizzo che ne fa per esempio la Pixar, che ha uno stile più prettamente fotorealistico?
Tutto è in funzione della storia: come tecnici e artisti dobbiamo sempre rapportarci a ciò che stiamo narrando. È vero, in Pixar utilizzano uno stile più fotorealistico, ma a ben vedere è perché è le storie che raccontano lo richiedono. La Pixar vuole che lo spettatore si immedesimi in una macchina o in un giocattolo, e dunque deve dare all’oggetto tangibilità e mantenere canoni di realismo più elevati per raggiungere questo obiettivo. Il mondo Disney è invece spesso più fiabesco e si può permettere quindi di essere più stilizzato. È poi assolutamente vero che c’è una tradizione espressiva molto forte, che viene dal nostro passato come studio e in particolare dall’esperienza dell’animazione a mano. Ma per come produciamo film oggi non è una cosa decisa a tavolino, i nostri filmmakers non vanno a ricercare quella particolare estetica semplicemente perché ce l’hanno già nel DNA, sono formati in quel modo di narrare e in quella raffinatezza visiva, e inoltre ne sono grandissimi appassionati. Per esempio, Mike Giaimo che ho citato durante la presentazione è in Disney fin da Pocahontas, ed è una persona di grande cultura e raffinatissima. Quando ci parli capisci che si porta dietro le influenze e la lezione del passato, che a sua volta ha imparato dai grandissimi di una volta, che l’hanno tramandata fin dalla fondazione dello studio. Per me è una grandissima fortuna e un onore poter lavorare con artisti così talentuosi.