A partire da Alice in Wonderland, di fatto posto come il seguito del film d’animazione del 1951, abbiamo visto con Maleficent – Il Segreto della Bella Addormenta e Cenerentola come due lungometraggi usciti a distanza di meno di un anno possano esser prodotti in modo totalmente diverso: se il primo giocava su una reinterpretazione di un mondo conosciuto numerosi anni prima, il secondo aveva come obiettivo quello di rendere (più) attuale una storia ben nota raccontandoci qualcosa di inedito.
Nonostante sembrasse che il secondo modo di rivedere i Classici dei Walt Disney Animation Studios fosse il più apprezzato e utilizzato dei due (con lo stesso metodo sono stati infatti realizzati Il Libro della Giungla o Il Drago Invisibile), con La Bella e La Bestia è stata aperta una terza strada.
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Come avevamo già intuito dai materiali diffusi, il film di Bill Condon fa più che strizzare un occhio al lungometraggio d’animazione di Gary Trousdale e Kirk Wise… lo indossa come fosse un grande e pomposo abito perdendo ogni propria aspirazione di originalità, soffocando la visione autoriale che precedentemente firme come Kenneth Branagh o Jon Favreau erano stati in grado di mostrare.
Il nuovo lungometraggio diventa così una vera e propria conversione del Classico del 1991, da cartone animato a film con alcuni fra i grandi nomi del momento. Nonostante ci sia la voglia di inserire nuovi elementi come la storia della madre di Belle o il motivo della crudeltà del principe, l’equilibrio fra inedito e già visto è decisamente poco bilanciato.
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Allo stesso modo la credibilità e la caratterizzazione degli interpreti in carne e ossa viene superata dallo stupefacente risultato dell’animazione e del movimento degli oggetti parlanti, nonostante i limiti che la CGI potrebbe avere soprattutto se paragonati alla libertà che il 2D si è potuto sempre permettere, dal momento che non ha come scopo l’essere realistico.
E difatti Emma Watson e Dan Stevens (impellicciato sotto un costume con un volto piatto e un pelo finto che lascia solo intravedere i seducenti occhi blu dell’attore) non riescono a reggere il confronto con l’arte di Mark Henn e Glen Keane (e altri numerosi artisti degli studi). Dopotutto parliamo di due (Belle e la Bestia) dei migliori esempi di espressività che l’animazione tradizionale abbia mai visto, in grado di rilanciare lo studio d’animazione più famoso al mondo.
Nota di merito, invece, per il Gaston di Luke Evans e il Le Tont di Josh Gad (nonostante per quest’ultimo si potesse osare di più, visto il polverone alzato negli ultimi giorni, rispetto alla velata omosessualità del personaggio che nel finale sembra quasi negata).
I due, oltre a portare una buona dose di ironia, denotano due ottime prove attoriali grazie a una grande sinergia. Allo stesso modo il resto della compagnia formata da Emma Thompson a Ewan McGregor e Ian McKellen avvolge con le proprie voci e emozionando con la loro presenza (peccato vederli per pochi istanti).
Un altalenante gioco di alti e bassi è infine rintracciabile nei costumi, nelle luci e nelle scenografia. Se in alcune sequenze come l’esibizione cantata di Stia Con Noi sembra esser stato svolto un grande lavoro, altre, come la famosa scena del ballo, non riescono a suggestionare particolarmente.
E nonostante i continui tentativi del regista di far entrare il pubblico nelle ambientazioni del film, come se ci si trovasse a Broadway, l’effetto risulta essere opposto per colpa di un montaggio che taglia di netto dall’azione lo spettatore.
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Persino il lavoro sulle musiche di Alan Menken e Tim Rice non riesce a stupire (avendo raggiunto livelli eclatanti già nel film e ancor più nello spettacolo teatrale), ma a creare solo un effetto nostalgia. Chissà se questo basti a spiegare e a far chiarezza sul senso di una produzione come La Bella e La Bestia: affascinante ma non necessaria.
“La curiosità porta verso nuovi orizzonti” e doverlo ricordare dopo aver analizzato un film della The Walt Disney Company con una protagonista forte come Belle non dovrebbe esser così scontato.