350 artisti, 35 paesi, un solo obiettivo: realizzare Mila, un cortometraggio indipendente nato da un’idea tutta italiana.
Mila è la storia di una bambina che perde la sua famiglia durante la guerra a Trento, in Italia. Grazie a una giovane donna che l’aiuta, Mila sopravvive a un bombardamento devastante ma perde anche la casa che la ospitava. Mila allora stringe forte tra le mani gli ultimi resti del suo passato: un cappello ormai logoro e un biglietto del carosello ridotto a brandelli. Donna e bambina sopravvivono alla notte devastata dalla guerra e al mattino dopo risorgono per testimoniare l’inizio della fine della guerra. Con le loro perdite e il loro calvario, trovano insieme la salvezza e il conforto l’una con l’altra, e iniziano a costruire una nuova vita insieme.
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Il progetto è stato presentato a View Conference 2017 dalla regista Cinzia Angelini e dal VFX supervisor Valerio Oss. Noi abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Cinzia per alcune domande su Mila, ed ecco cosa ci ha rivelato.
Come è nata l’idea di questo progetto indipendente? Siete stati i primi a tentare un’impresa simile?
Quando abbiamo iniziato 7 anni fa non c’erano progetti simili… eravamo davvero dei matti. Oggi se ne sono sviluppati altri, ma noi siamo decisamente il team più grande perché siamo ben 350. L’idea di creare Mila è nata perché dopo 18 anni di lavoro in giro per il mondo ho avuto finalmente la possibilità di fare un mio film, un cortometraggio. Inizialmente ho scritto diverse storie che presentavo agli amici e conoscenti, e tutti erano attirati da questa in particolare. Era una storia a cui tenevo moltissimo perché veniva da un racconto personale di mia mamma che era bambina a Trento durante la Seconda Guerra Mondiale. Ho presentato il progetto a un amico character designer che ha ideato i personaggi, poi via via di amico in amico si sono unite altre persone che hanno creduto nel corto e si sono offerti volontari. Nel tempo ho provato a proporre la storia a vari studi di Hollywood, ma a loro non interessa il tema della guerra, perciò non avendo budget siamo andati avanti con il passaparola.
Il tema di Mila è un tema forte e non usuale per un film d’animazione. Il corto è rivolto anche ai bambini?
Assolutamente. Non ci sono scene grafiche: l’unico rappresentante della guerra è il bombardiere, si intuisce la morte delle persone ma non si vede niente. A dir la verità non è tanto un film sulla guerra, è un film poetico sull’incontro di Mila con una donna che la salva. La bambina sarà salvata fisicamente, ma poi salverà a sua volta psicologicamente la donna. Le due si conosceranno e attraverso il gioco instaureranno un rapporto completandosi a vicenda, in quanto Mila ha perso i genitori e la donna il figlio. Le guerre mi lasciano con una sensazione di shock ed impotenza, quindi con il medium che io amo, ovvero l’animazione, volevo raccontare qualcosa su questo tema così drammatico.
Pensi che una produzione indipendente di questo tipo possa aiutare l’industria dell’animazione ad aprirsi a temi diversi?
È fondamentale ampliare i temi. Soprattutto in un periodo come questo è importante usare l’animazione per cercare di avvicinare le culture di fronte alle guerre, alla paura e all’ignoto. Qualcosa si muove, per esempio proprio qui a View Conference lo studio Cartoon Saloon ha presentato il suo The Breadwinner che tratta proprio questo tema. Anche io sono al lavoro su un film simile: grazie a Mila mi è stato chiesto di dirigere un film su Malala Yousafzai. I grandi studi secondo me sottovalutano le potenzialità dell’interesse in questi temi e pensano che il pubblico non possa capire, ma i bambini riescono a processare cose molto impegnative se vengono proposte nel giusto modo. Esporre i bambini a film diversi e presentare loro diverse culture e problematiche per formarli è davvero fondamentale, tuttavia è molto difficile convincere uno studio che questo abbia potenzialità economiche, e d’altra parte trovare fondi in modo indipendente è sempre una battaglia.
Puoi parlarci del contrasto tra le atmosfere del corto? E come mai la scelta di non utilizzare dialoghi?
Per quanto riguarda le atmosfere: volevo alternare e far vedere quello che erano la bellezza e la serenità prima della guerra, in contrasto con l’orrore e la tragedia quando arrivano i bombardieri. La scena iniziale è un ricordo della domenica al mercato, con Mila sul carosello. Quest’ultimo è l’oggetto più complesso che abbiamo costruito e rappresenta simbolicamente l’infanzia, infatti poi verrà distrutto. La scena iniziale e i sogni di Mila sono colorati per creare contrasto con la realtà della guerra, dove l’atmosfera è più dark e tetra. Infine, il corto è senza dialogo per restare più internazionali possibile. Anche il nome Mila l’ho scelto affinché fosse pronunciabile sia in italiano che in inglese. Non avere il dialogo ti forza a basarti solo sull’acting dei personaggi ed è un buon esercizio per riuscire a portar fuori le emozioni senza la scorciatoia della parola.
C’è stato un momento in cui Mila è stato un lungometraggio o l’hai sempre immaginato come un corto? Come pensi di distribuirlo?
È sempre stato un corto, anche perché a livello indipendente per questioni di budget è troppo complicato realizzare un lungometraggio. Lavoriamo senza ritorno economico, volontariamente, mentre se fosse un lungometraggio dovremmo distribuirlo, pagare il marketing e ovviamente i collaboratori. Certo, se uno studio fosse interessato si potrebbe fare! Attualmente verrà distribuito tra festival, di solito quello che accade è che in queste situazioni si trovano potenziali distributori, italiani o americani che siano.
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