Nato il 19 settembre 1967 a Nakaniikawa, nella prefettura di Toyama, Mamoru Hosoda è uno dei registi di animazione giapponese più apprezzati. Il cineasta decise di intraprendere la carriera nel mondo dell’animazione dopo aver visto Lupin III – Il castello di Cagliostro di Hayao Miyazaki. Dopo aver frequetato il Kanazawa College of Art, Hosoda iniziò a lavorare presso la Toei Animation come animatore e nel 1999 come regista, dirigendo i primi due film del franchise Digimon, con cui iniziò a farsi conoscere.
Dopo aver rinunciato alla regia de Il castello errante di Howl a causa di divergenze creative, Mamoru Hosoda diresse il film di One Piece L’isola segreta del barone Omatsuri e successivamente venne assunto in Madhouse dove realizzò nel 2006 La ragazza che saltava nel tempo, con il quale vinse il premio come miglior film d’animazione ai Japan Academy Awards.
Tre anni più tardi fu la volta di Summer Wars, altro grande successo, e nel 2012 di Wolf Children, considerato da molti il suo lavoro migliore e primo film prodotto dalla Studio Chizu, fondato dallo stesso Hosoda insieme a Yuichiro Saito. Il film successivo fu The Boy and the Beast, maggior successo al box office del regista, mentre nel 2018 arrivò Mirai, candidato ai Golden Globe e ai premi Oscar come miglior film d’animazione.
Per festeggiare i 10 anni dello Studio Chizu, Mamoru Hosoda è tornato alla regia con Belle, che ha presentato in anteprima italiana ad Alice nella Città, in attesa di poterlo vedere al cinema il prossimo anno. Proprio in occasione della kermesse cinematografica lo abbiamo incontrato. Ecco cosa ci ha raccontato sul film e sul suo cinema in generale.
Vorrei partire dal titolo, che ha varie letture e una di queste è la bellezza interiore. La protagonista Suzu fa un lungo viaggio interiore per trovare sé stessa, anche Lei ha affrontato un percorso simile?
Mamoru Hosoda: Come hai sottolineato, Belle ha due chiavi di lettura: il primo significato ovviamente si rifà a La Bella e la Bestia e il secondo alla bellezza interiore e a cosa intendiamo per “bellezza”. La favola originale è stata scritta in un periodo in cui il canone di bellezza era imposto dall’uomo essendo una società maschilista, ma come stanno le cose oggi? Nel film, soprattutto nella seconda parte, Suzu affronta un percorso e impara ad avere più sicurezza in sé; questo fa sì che diventi più forte mentalmente. Ha qualcosa da proteggere e questo fortifica il suo spirito. E oggi forse è questo il nuovo canone di bellezza a cui aspiriamo.
Come già annuncia il titolo, l’ispirazione principale di Belle è la favola europea de La Bella e la Bestia, ma nel film possiamo ritrovare anche la favola giapponese del poeta che si trasforma in tigre di Atsushi Nakajima. In che modo queste due storie così diverse si intersecano e danno vita a una storia nuova?
Mamoru Hosoda: In Occidente avete familiarità con la storia de La Bella e la Bestia, ma sì, il film è ispirato anche alla storia Sangetsuki di Atsushi Nakajima, scritta nel periodo Meiji, dove un uomo non riesce a diventare un poeta e diventa invece una tigre. Qui non c’è la contrapposizione della Bestia con la Bella. In questa storia anche la Bestia è una sfaccettatura dell’essere umano: era importante che il personaggio non fosse presentato come qualcosa che deve essere negato, ma come una parte di noi stessi.
La scelta di raccontare luci e ombre dei social media è nata anche pensando a sua figlia, alla preoccupazione per il suo futuro e a cosa la aspetta una volta cresciuta. È vero che c’è anche questo lato personale nella sua voglia di scrivere questo film?
Mamoru Hosoda: Complimenti perché sono informazioni riservate! (ride). Credo che vivere il passaggio all’adolescenza in un mondo con i social media sia molto difficile, anche perché si ha la sensazione di essere costretti a partecipare, riprendersi, iscriversi a questi spazi virtuali perché trendy, altrimenti vieni messo da parte. Mettono ancora più in risalto le differenze sociali tra i ragazzi, si parla di caste nelle scuole. Si vede come chi non partecipa alle chat di gruppo viene emarginato. Avendo una figlia di 5 anni, mi chiedo se una volta cresciuta sarà in grado di sopravvivere all’interno di questo mondo. È per questo che voglio dare un messaggio di supporto e speranza ai ragazzi che vivono con questi complessi.
Infatti lei non è sui social network, solo su Twitter. Esatto?
Mamoru Hosoda: Ci sono diversi motivi per cui non sono sui social… Da una parte ho subìto anche io atteggiamenti poco simpatici nei miei confronti. Inoltre credo che un artista debba esprimere la propria creatività in altri modi, non a piccole dosi sui social network. Credo si debba accumulare la voglia di creare, per poi esplodere ed esprimersi attraverso le proprie opere.
Quest’anno ricade il 50° anniversario di Lupin III e uno dei film che l’ha maggiormente ispirata è Il castello di Cagliostro di Miyazaki. Se le offrissero di dirigere un film sul personaggio, lo farebbe? C’è un personaggio della sua infanzia di cui le piacerebbe dirigere un film?
Mamoru Hosoda: Ci sono tante persone che hanno rievocato Lupin III, ma io sono soddisfatto solamente a rivedere le opere di quando ero piccolo. Per cui no, non ci ho mai pensato.
Nei suoi film è spesso presente un altro mondo, i personaggi si ritrovano in un’altra dimensione, che in qualche modo li aiuta a ritrovare loro stessi. Ci sono stati nel corso della sua vita film che hanno avuto su di lei lo stesso effetto?
Mamoru Hosoda: Il mondo di U è una realtà virtuale in cui non solo l’utente si realizza attraverso la rappresentazione dell’alter ego, ma viceversa proprio attraverso quell’alter ego cambia anche la realtà. Vedere un film dà l’opportunità di entrare in un altro mondo e una volta tornati alla nostra realtà riusciamo ad arricchire la quotidianità, e questo è un tesoro. Io sono cinefilo e molte sono le opere che mi hanno ispirato, ma se devo proprio individuarne una cito il regista spagnolo Víctor Erice e il suo film Lo spirito dell’alveare (El espíritu de la colmena).
Anche la famiglia è un tema ricorrente nel suo cinema. Abbiamo la maternità in Wolf Children, la paternità in The Boy and the Beast e la fratellanza in Mirai. Cosa trova di particolarmente interessante in questa tematica?
Mamoru Hosoda: La mia infanzia non è stata piena di bei ricordi con i miei genitori e parenti, anzi è stata abbastanza povera da questo punto di vista. Inoltre essendo figlio unico sono stato vittima di scherno per questo, dato che ai miei tempi in Giappone era insolito non avere fratelli o sorelle. È quasi una legge del contrappasso: proprio perché non ho avuto una famiglia come fulcro importante, ora da adulto ne sento forse la mancanza. Forse attraverso questi film ringrazio i miei genitori, che purtroppo non ci sono più. Lì per lì non sentivo la mancanza di una famiglia, perché quella era la mia normalità, però diventando adulto ho iniziato a guardare il passato con occhi diversi.
Qual è secondo lei il legame che c’è oggi tra il cinema animato e quello live action?
Mamoru Hosoda: Si può dire che fino agli anni ’70/’80 i generi erano molto marcati. Credo che l’animazione sia solamente una modalità di espressione e non più un genere, è un mezzo perché l’obiettivo è creare un’opera cinematografica. I confini sono diventati più grigi. Quando mi confronto con colleghi come Kore’eda o Yamauchi non sentiamo la differenza tra regista live action e di animazione, per noi adesso è più importante cosa vogliamo esprimere e rappresentare.
In Occidente stiamo vivendo un momento di esplosione dell’animazione giapponese grazie alle piattaforme streaming e questo ha aumentato la richiesta da parte del pubblico di tali prodotti. Qual è la fotografia attuale dell’industria dell’anime in Giappone?
Mamoru Hosoda: Grazie all’utilizzo di tali piattaforme le persone hanno iniziato a scoprire sempre di più il lato divertente dell’animazione. E sicuramente un ruolo importante lo ha avuto la pandemia, “grazie” alla quale abbiamo avuto modo di approcciarci a prodotti con background differenti dal nostro. Detto ciò tengo a precisare che Belle è stato pensato per il grande schermo, quindi mi dispiace pensare che qualcuno potrebbe guardarlo su PC o piccoli device, è un’opera che va vista e gustata al cinema. Riguardo le piattaforme streaming, ormai gli artisti sono dei meri fornitori e credo in futuro possa diventare un problema per tutto il settore.
Negli ultimi anni le piattaforme stanno anche proponendo versioni live action di manga e anime storici, lei cosa ne pensa?
Mamoru Hosoda: È difficile rispondere, entriamo nel campo dei gusti personali, che sono influenzati dal nostro vissuto. Posso dire che a volte le opere sono state realizzate bene, altre un po’ meno. Ripeto, sono gusti. Ad esempio io nel 1991 sono rimasto colpito dal Classico Disney La Bella e la Bestia e personalmente non ho ritenuto necessario il remake live action del 2017.
La musica è uno dei temi principali di Belle, tramite la quale Suzu torna a credere in sé stessa. Può parlarci della collaborazione con Millennium Parade e del casting call per la registrazione di una tra le più potenti scene del film?
Mamoru Hosoda: Il canto è uno dei temi principali ma non è l’unico. Belle non è la storia di una starlette che trova la sua strada con il canto: la musica è un veicolo che permette a Suzu, una ragazza timida, di trovare sé stessa e di darsi coraggio. Speriamo che anche i nostri ragazzi possano sentire qualcosa che riecheggi attraverso loro. La pandemia ci ha fatto rifugiare nella realtà virtuale, vorrei che attraverso Belle i ragazzi trovassero il modo di liberarsi. Per quanto riguarda la registrazione, riflette la coralità e la collaborazione dell’arte, che è un mezzo che ci collega.
Uno dei temi del film è il coraggio, cosa è per Lei il coraggio?
Mamoru Hosoda: Purtroppo il mondo di Internet è un mondo in cui si può vivere nel completo anonimato, tutti si nascondono e tale possibilità ha dato vita alle fake news e al cyberbullissimo. Il coraggio di Suzu sta proprio nel rinunciare al suo anonimato per proteggere qualcosa di prezioso. Credo possa capitare a chiunque nei momenti di difficoltà, può succedere di dover rinunciare a qualcosa che davamo per scontato o dietro cui ci nascondevamo, l’importante è farlo per la giusta causa.
Nel film Suzu ha un blocco artistico, Lei ha mai avuto tale tipo di blocco? Come lo ha superato?
Mamoru Hosoda: Suzu per particolari circostanze si è chiusa in sé stessa e sente il bisogno di esprimersi liberamente e questo si allaccia al discorso della nostra società che è piuttosto opprimente. Soprattutto a causa della pandemia abbiamo vissuto limitati da tante regole ed è per questo che abbiamo bisogno di liberarci. Internet può essere anche una forma di liberazione. Non solo quando abbiamo un blocco artistico, ma quando perdiamo la sicurezza in noi stessi dobbiamo trovare un modo di superare tali difficoltà. A titolo personale posso dire che forse i momenti di maggiore difficoltà sopraggiungono durante la perdita di un amore o dei genitori, ma il modo in cui affrontiamo le sofferenze ci permette di crescere e diventare migliori.