È tornato Henry Selick, e non possiamo che esserne contenti. Questa geniale leggenda della stop motion, che ci ha regalato cult come Nightmare Before Christmas e Coraline e la porta magica, non se l’è passata troppo bene negli ultimi anni: il suo rapporto con Disney si è bruscamente interrotto con la cancellazione improvvisa di uno dei suoi progetti di lunga data, The Shadow King, e anche il suo nuovo film Wendell e Wild ha impiegato diversi anni per venire finalmente alla luce (è in lavorazione dal 2015).
A credere in questa sorta di Beetlejuice con i pupazzi, infine, è stata Netflix Animation; ma si tratta di un’etichetta che forse non esiste più, quella che ci ha regalato Klaus, Over the Moon, Pinocchio e Il mostro dei mari, un progetto caratterizzato da totale libertà creativa di cui oggi ci stiamo godendo gli ultimi frutti, ma che ha già annunciato un deciso cambio di rotta per il futuro. Sia come sia, Wendell e Wild è stato certamente un ritorno molto atteso, ma – ahimè – riuscito soltanto a metà, motivo per cui è stato accolto in maniera tiepida persino dagli spettatori che avevano pazientato a lungo per l’ultima fatica del Maestro.
Nella migliore tradizione di Henry Selick, il film è un concentrato di idee creative e irriverenti: dal luna park del terrore in cui Belzebù tortura le sue anime, passando per la crema per capelli che fa resuscitare i morti, fino ai due improbabili acchiappademoni e alla reginetta della scuola che ha come animaletto domestico una capra. Siamo al cospetto di un Narratore, questo è chiaro, ed è sempre un gran privilegio poter aprire uno spiraglio sulla sua mente geniale.
Ad accompagnare questo tripudio di fantasia c’è una tecnica che, come quella del Pinocchio di del Toro, recupera una dimensione più artigianale, in opposizione al pesante blending di stop motion e CGI portato in tendenza da LAIKA negli ultimi anni. Interessante soprattutto il lavoro sul cut-out e sull’effetto bidimensionale che viene dato in alcune sequenze ai personaggi, specialmente ai due demoni Wendell e Wild, per non parlare ovviamente dell’impressionante stazza del pupazzo costruito per Belzebù, le cui effettive dimensioni si possono constatare nel reel durante i titoli di coda.
Il castello di carte costruito da Selick e Jordan Peele procede spedito per la prima ora e mezzo, crollando però rovinosamente in un terzo atto confuso, ricco di ingenuità abbastanza inspiegabili visto il calibro dei due sceneggiatori. Forse la carne al fuoco è troppa: troppi personaggi, troppi archi aperti, troppe tematiche che si intersecano e sono incapaci di armonizzarsi. Il percorso di liberazione di Kat dal suo trauma passato, l’emancipazione di Wendell e Wild dal padre/padrone, la morte e rinascita della cittadina di Rust Bank, persino la rivincita contro quelli che dovrebbero essere gli antagonisti: tutto o quasi si chiude alla buona, in maniera superficiale, facilona e totalmente anticlimatica. C’è un problema di aspettative disattese, forse il più grande tradimento che uno sceneggiatore possa fare al suo spettatore, e questo film non lo meritava.
Cosa è andato storto? Si possono ipotizzare frettolose riscritture all’ultimo momento, forse su iniziativa degli autori stessi, forse per volere di Netflix. Qualcosa sicuramente non torna: il film si intitola Wendell e Wild, ma i due demoni, che pure danno il la alla sequenza di eventi narrati, risultano avere un ruolo quasi marginale e non stringono alcun vero legame con la protagonista. Sarà il caso di chiedere a Netflix la “Selick-cut”?