Spider-Man: Into the Spider-Verse ha fatto scuola. Sono ormai diversi i lungometraggi d’animazione che, ispirandosi al vincitore dell’Oscar prodotto da Sony Animation, hanno deciso di lasciarsi alle spalle il fotorealismo e abbracciare uno stile ibrido sperimentale (Troppo Cattivi, Il Gatto con gli Stivali 2, i film di prossima uscita Wish e Migration…). Tartarughe Ninja: Caos Mutante, però, è forse quello che si avvicina di più a Spider-Verse anche nell’intenzione: portare al cinema il fumetto, con tutta la bellezza della linea artigianale e tutto il valore aggiunto dell’animazione.
A compiere l’impresa è stato chiamato Jeff Rowe, già co-regista di I Mitchell contro le Macchine (il film che per primo ha raccolto il testimone di Spider-Verse, sempre targato Sony). Insieme a Seth Rogen ed Evan Goldberg, Rowe cancella con un colpo di spugna le cupe versioni live action prodotte da Michael Bay, restituendo il franchise al pubblico delle famiglie con un coming-of-age caciarone e scanzonato, senza però tradire le origini fumettistiche dei personaggi.
La storia si mantiene quasi sempre su un andamento piuttosto semplice e senza particolari guizzi, utile a far risaltare quello che senza dubbio è l’aspetto più riuscito di questa versione: la caratterizzazione delle quattro Tartarughe Ninja. Sono proprio le loro personalità esplosive a trainare questo racconto di formazione altrimenti molto lineare: l’intuizione di rappresentare Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Donatello come quattro adolescenti desiderosi di “uscire dal guscio”, ognuno dotato dei propri tratti caratteriali e dei propri interessi, è particolarmente azzeccata e permette di costruire dei mini archi narrativi individuali, paralleli allo sviluppo del team nel suo complesso. Essendo i quattro fratelli dei teenager contemporanei, poi, la sceneggiatura è stata disseminata di citazioni alla pop culture: invecchierà in men che non si dica – poco ma sicuro – ma al momento risulta fresca, dinamica e genuinamente divertente. Non tutte le gag colgono nel segno, e talvolta c’è qualche eccessiva strizzata d’occhio al linguaggio giovanile, ma in generale l’umorismo funziona su più livelli, riuscendo a intrattenere diverse fasce d’età.
C’è infine, come avevamo accennato in apertura, un’interessante ricerca del comparto visivo che va a caratterizzare anche stilisticamente questo racconto. Il modello è – appunto – SpiderVerse: non tanto nello stile di animazione scelto, che risulta profondamente differente, quanto nell’obiettivo di fare dell’estetica un brand, di rendere cioè questa saga cinematografica riconoscibile a colpo d’occhio per la sua identità visiva. È un trend che l’industria sta abbracciando sempre di più e che sta producendo un parco di produzioni sempre più ricche e variegate. Qui abbiamo di fatto la controparte “grezza” del film Sony: se Spider-Verse è un manifesto di eleganza, nelle sue linee, nei suoi archi, nelle sue silhouette, Tartarughe Ninja sfoggia un tratto sporco, imperfetto, pieno di “smatitate”; da sketchbook più che da portfolio fatto e finito. Mikros Animation e Cinesite, i due studi di animazione che hanno lavorato al film, ci regalano anche una piccola rarità per l’animazione mainstream: personaggi dai design e dai modelli volutamente brutti, tozzi, sgraziati e poco appealing. Una scelta commercialmente controcorrente, ma coerente col setting urbano e il mood underground di questo franchise.
Insomma, la prima pietra è stata posta con successo: lunga vita alle Tartarughe Ninja, dunque, con la speranza che lo spirito e l’artisticità che hanno guidato questa produzione restino vivi anche nei sequel e nella serie Tv già in lavorazione per Paramount+.