C’è grande attesa tra gli appassionati dell’animazione per Klaus, il primo film d’animazione originale Netflix, la cui uscita è prevista in esclusiva per il colosso dello streaming il prossimo dicembre. Non solo Klaus darà inizio a una grande produzione di film e serie originali pensati per le famiglie (che coinvolgeranno praticamente tutti i più grandi talenti sulla piazza, tra cui Guillermo Del Toro, Glen Keane, Henry Selick, Nora Twomey e molti altri); la pellicola segna anche il grande ritorno dell’animazione tradizionale, dopo molti anni finalmente prodotta di nuovo da uno studio americano.
A dirigere Klaus c’è Sergio Pablos, veterano dell’industria con diversi anni di carriera in Disney e soprattutto creatore della fortunatissima saga di Cattivissimo Me (che tuttavia non ha mai diretto; Klaus infatti è il suo esordio alla regia). Attualmente lavora in Spagna, a Madrid, dove è fondatore e CEO di SPA Studios. Lo abbiamo incontrato in occasione di Giffoni Film Festival 2019, dove Pablos ha potuto mostrare alcuni estratti dal film a centinaia di bambini entusiasti. Ecco cosa ci ha raccontato!
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Ciao Sergio, siamo molto contenti di poterti incontrare. Nella community di appassionati di animazione c’è grande emozione per l’arrivo di Klaus: finalmente il ritorno dell’animazione a mano!
Conosco bene le reazioni dei fan, ma non chiamiamolo il grande ritorno dell’animazione a mano. Non dimentichiamoci dell’immenso lavoro che stanno facendo studi europei come Cartoon Saloon oppure film come Sasha e il Polo Nord, che personalmente ho adorato. È vero, non sono film dai grandi budget, ma dobbiamo ringraziare questi artisti che hanno tenuto la tecnica viva per tutto questo tempo. Tuttavia, è assolutamente vero che è passato un po’ dall’ultima volta che è stato realizzato un film in 2D ad alto budget. Per quanto possiamo amarli e difenderli, la realtà è che i film indie arrivano più che altro agli appassionati in quanto spesso hanno una distribuzione limitata. Questo meccanismo ha fatto sì che si diffondesse l’idea che l’animazione tradizionale sia una tecnica legata solo al cinema indipendente, ma non per il mainstream. È tempo di fare un film che possa raggiungere il grande pubblico, altrimenti questa forma d’arte diventerà sempre più irrilevante.
Oggi hai presentato il film ai bambini di Giffoni Film Festival. Come ti è sembrata la loro reazione? Hanno gradito?
Spero proprio di sì! La presentazione non è stata facile perché le clip erano in inglese e ho dovuto spiegare tutto ciò che accadeva sullo schermo. Ma mi hanno detto che molti bambini dal pubblico dicevano di voler vedere il film per intero, quindi è decisamente un buon segno. Abbiamo portato il film in tanti festival, ma con gli appassionati di animazione è facile perché questo è proprio il film che vogliono vedere. Mi sento dire spesso: “dobbiamo sostenere Klaus perché è animato in 2D!” e io rispondo sempre che non è così, sostenetelo solo se è un bel film. Quando i grandi studi giustificano la loro volontà di non voler fare film disegnati a mano con il fatto che il pubblico sembra preferire la CGI, noi siamo quelli che rispondono che Toy Story non è amato perché è in grafica computerizzata, è amato perché è una bellissima storia. Dobbiamo usare la stessa logica: la tecnica è solo al servizio della storia. Se Klaus è un bel film allora sostenetelo, altrimenti proveremo a fare meglio con il prossimo. Ai bambini invece tutto questo parlare della tecnica non interessa: loro ti dicono la loro opinione senza filtri!
Klaus sarà il primo film animato originale di Netflix, ma è nato come un tuo progetto personale che stai cercando di realizzare da molto tempo. Puoi spiegarci tutto il processo che ti ha portato a collaborare con Netflix?
Abbiamo iniziato diversi anni fa producendo un teaser che è anche disponibile su Internet e ovviamente scrivendo la sceneggiatura. Quando lo script ci è sembrato solido, abbiamo provato a proporre l’idea a tanti studi diversi ma abbiamo scoperto che ciò che credevamo un punto di forza del film, cioè che fosse una storia di Natale, era in realtà uno svantaggio. Questo perché per quanto riguarda il cinema il Natale appartiene alla Disney e nessuno studio voleva rischiare di perdere soldi sfidando colossi come Frozen 2 o Star Wars. Per molto tempo nessuno ci ha detto di sì, compreso Netflix a cui abbiamo proposto l’idea due volte. Entrambe le volte ci è stato detto che Netflix non era interessato a produrre film d’animazione. La terza volta però è cambiato qualcosa: ci hanno detto che cercavano un film di Natale e che avrebbero fatto un’eccezione per noi, anche se il nostro era d’animazione. All’epoca Klaus non doveva essere il primo di una lunga lista di progetti animati, ma soltanto una storia di Natale che per caso era anche a cartoni. Da allora ci hanno costruito un intero team intorno e mi hanno detto che sarei stato il primo di una lunga serie di film d’animazione targati Netflix. Del tipo: “non per farti pressione ma… mi raccomando, non produrre un flop!”.
Il film racconterà le origini della figura di Babbo Natale. Ma in cosa si differenzia da altre pellicole dello stesso genere?
Pensando alla storia di Babbo Natale ho provato a trovare l’ironia, lo humor e il cuore. Come renderla originale? Innanzitutto facendo in modo che Klaus non fosse il personaggio principale. Poi, sappiamo che Babbo Natale è un simbolo di altruismo e generosità, perciò perché non rendere il protagonista sostanzialmente un cretino arrogante che deve imparare quei due valori? Il nostro “eroe”, Jesper, è solo un postino che per caso si trova invischiato con la leggenda di Babbo Natale. L’ironia sta nel fatto che una figura così positiva come quella di Babbo Natale nasca da un protagonista antipatico come Jesper, mentre il cuore è nel fatto che tramite questa vicenda il protagonista cambia e matura e allo stesso tempo si evolve anche la città attorno a lui.
Al festival di Annecy hai detto: non vogliamo riportare indietro l’animazione 2D, vogliamo farle fare un salto in avanti. In che modo?
Ricordi quando ogni film Disney degli anni ’90 serviva a dimostrare una particolare innovazione? Per esempio, Tarzan ha introdotto il Deep Canvas, La Bella e la Bestia ha sperimentato come amalgamare personaggi bidimensionali con ambienti 3D, e così via. Mi sono detto: ricominciamo da dove eravamo rimasti. Se non avessimo inventato la CGI, ora dove sarebbe il 2D? Il nostro processo di eliminazione è stato guardare a ogni step della pipeline dell’animazione tradizionale e valutare quali fossero limitazioni tecniche e quali invece scelte artistiche. Esempio: gli animatori che rendono il disegno più rozzo e impreciso. Quella è una scelta artistica, fa parte del fascino dell’animazione a mano. E così via, passaggio dopo passaggio. Quando siamo arrivati alla luce e all’illuminazione abbiamo capito che, analizzandola tramite le tecnologie che abbiamo a disposizione oggi, quella era una componente ancora limitata tecnicamente. All’epoca non potevamo, ma oggi è possibile aggiungere luce e volume a un film animato a mano. Noi non volevamo cambiare la natura dell’animazione a mano, perciò abbiamo cercato nuovi software che fossero utilizzati direttamente dagli animatori, niente di automatico o computerizzato. Ciò che amo del 2D è l’imperfezione della mano umana, perciò abbiamo detto: facciamo lo stesso con la luce., diamo questo tool agli artisti e ognuno lo utilizzerà come preferisce. Attenzione: non sarà mai perfetto! Se chiedi agli artisti di illuminare una scena, ognuno lo farà a modo suo e nessuna scena sarà uguale all’altra. Personalmente adoro l’effetto ottenuto, perché è come una firma dell’autore. Sostanzialmente è un software che permette di dipingere il colore e la luce in movimento ed è veramente fantastico. Qualcuno ci ha detto che con questa tecnica il film sembra fatto in CGI ma non era questo l’obiettivo, l’idea era che sembrasse visual development art in movimento. Ma siccome le uniche volte in cui vediamo volume è con la computer grafica, allora siamo portati automaticamente a pensare che si tratti di quella. E invece è fatto tutto a mano!
In che modo lavorare per i grandi studi ti ha aiutato ad arrivare dove sei ora con il tuo studio indipendente?
Ho imparato tante cose, ma soprattutto ho imparato cosa non fare, perché ho lavorato a diverse produzioni che sono state piuttosto problematiche. Il momento in cui si spreca la maggior parte del budget è durante il development iniziale, perché solitamente c’è un gran numero di persone che tenta di capire come mai il film non funzioni e spesso ci vuole molto tempo e si fanno diverse versioni mandando in fumo parecchi soldi. Per Klaus abbiamo avuto un grande budget per l’Europa, ma molto ristretto per gli standard americani, perciò non abbiamo assunto persone in più di quelle necessarie fino a quando non abbiamo avuto la versione definitiva del film. E poi ovviamente ho imparato dai grandi, per esempio ho lavorato con Ron e John [Clements e Musker, registi de La Sirenetta, Hercules, Aladdin, n.d.r]. Ma anche con altri registi che non erano così bravi. Sicuramente le mie esperienze passate mi hanno aiutato tanto, non credo di essere stato mai pronto per fare il regista fino ad ora.
Se il film avrà successo cosa possiamo aspettarci in futuro dal tuo studio?
Sto già pensando a nuove idee. Quel che è certo è che le proporrò prima di tutto a Netflix. Mi piacerebbe continuare questa collaborazione perché non ho mai avuto questo livello di autonomia dal punto di vista creativo. Ogni volta che abbiamo avuto opinioni diverse la loro risposta è stata: “ok, è il tuo film, quindi decidi tu”. Francamente non mi era mai successo negli altri studi, in cui non c’è affatto questo livello di libertà. Da Netflix mi sento dire sempre: “noi abbiamo creduto nella tua visione e ora la seguiremo”. Che è una cosa bellissima e allo stesso tempo è semplicemente spaventosa, perché se il film non verrà bene sarà totalmente colpa mia e non avrò nessuno da incolpare! Perciò… incrociamo le dita!
Foto: Courtesy of Giffoni Film Festival – Netflix