Ma questo è davvero un film dei Pixar Animation Studios?
Non dovremmo mai porci una domanda simile mentre ci troviamo comodamente seduti su una bella poltrona rossa, con amici, familiari o compagni di vita, intenti a guardare un film su uno dei grandi schermi del nostro cinema di fiducia. Certo, può sempre accadere se stiamo guardando uno dei tanti prodotti che escono settimanalmente in sala, se parliamo di commedie o film d’azione che generalmente sono i più diffusi e i più semplici da vendere al pubblico, o se parliamo di lungometraggi creati da studi d’animazione che non hanno una propria filosofia dietro, per scelta o perché nati da poco. Ma questo non dovrebbe e non può accadere se parliamo dei Pixar Animation Studios.
Gli studi di Emeryville ci hanno sempre abituato a mondi assurdi, governati da formiche o dove l’energia elettrica viene sostituita dalle urla di bambini spaventati, nei quali le macchine hanno occhi e negozi e in cui i giocattoli sono autonomi, coscienti… e totalmente credibili.
Il Viaggio di Arlo, con uno spunto dalle illimitate potenzialità e anni di esperienza cinematografica alle spalle, purtroppo, non riesce ad esserlo.
Il percorso di crescita del nostro piccolo dinosauro verde, fragile e insicuro, non riesce a ingranare fin dalle prime battute del film. Per la prima volta in assoluto non ci viene presentato in alcun modo il paradossale mondo che si sarebbe venuto a creare milioni di anni dopo il passaggio del famoso meteorite che, nel nostro film, non è riuscito a colpire la Terra. Veniamo catapultati, in un lento inizio, solo nella quotidianità di Arlo, della propria fattoria, gestita con i genitori, il fratello Buck e la sorella Libby, più grandi.
Innumerevoli, per tali dinamiche familiari, le citazioni dai più sentimentali e forti classici dei colleghi Walt Disney Animation Studios: da Il Re Leone, capolavoro indiscusso, a Koda Fratello Orso. Purtroppo, però, non ci troviamo a Burbank e i Pixar Animation Studios, forti di un successo come Inside Out (senza paragonare in alcun modo i due film essendo generi completamente diversi) ci hanno abituato ad altro: all’originalità.
Il film di Peter Sohn non è il Western tanto annunciato. Non c’è un vero eroe protagonista, ci sono solo continui drammi (spesso ripetitivi) che forzano il viaggio che questo compie e che aiutano solo a mettere in luce la forza di un personaggio comprimario come il piccolo Spot. Difatti non ci si innamora di Arlo, ma di questo selvaggio ometto in grado di parlare con gli occhi e colpire con gli sguardi, senza proferire parola. Al massimo ululando, al pari di un Bambi o di un Dumbo. Il rapporto invertito che si crea fra i due, dove il dinosauro rappresenta il pensiero e il bambino impersona l’istinto, scaturisce finalmente il bagliore di cui il film, fra tanta polvere, ha bisogno.
Colpa anche della genesi del film e forse del cambio di regia passato meno di un anno fa dalle mani di Bob Peterson a quelle del regista di Parzialmente Nuvoloso, il film presenta un’eccessiva rapidità nell’introduzione e nell’abbandono dei nuovi personaggi che i due incontrano nel corso del loro cammino che non sono in grado di spiegarci ancora una volta come funziona questo strano mondo fra i grandi T-Rex, allevatori di bestiame, il saggio Stiracosauro e i gruppi di Pterosauri e Velociraptor, antagonisti poco forti nonostante i richiami a Lo Squalo.
Indubbio, però, è il livello altissimo di fotogenia e di realismo utilizzati per i paesaggi e gli scenari che vanno a contrapporsi in modo voluto all’estetica dei dinosauri. C’è chi potrebbe dubitare che siano animazioni bensì riprese fatte dal vivo, che la luce che illumina i protagonisti non sia finta ma vera, che provenga direttamente dal sole, che l’acqua che bagna e a volte travolge lo sfortunato Arlo sia stata presa direttamente dal corso di un qualche fiume e non realizzata in CGI.
Discreta ma non indimenticabile la colonna sonora di Mychael Danna che, in una versione originale del film, sarebbe risultata impreziosita grazie alla splendida Crystals dei Of Monsters & Men posizionata nei titoli di coda senza scene finali.
Privo di una forte sequenza conclusiva, Il Viaggio di Arlo potrà anche commuovere ma usciti dalla sala lascerà l’amaro in bocca agli spettatori che non avranno vissuto un’incredibile avventura come ci si poteva aspettare, soprattutto sapendo che per poterci provare nuovamente dovranno aspettare Coco nel 2017 o la fine della fase ricca di sequel che i Pixar Animation Studios faranno partire il prossimo anno con Alla Ricerca di Dory e che dovrebbe terminare nel 2019 con Gli Incredibili 2.
La tecnologia non crea l’arte. Le persone lo fanno!
Questo film è la conferma di quanto appena citato e detto da John Lasseter. Non basta una buona tecnica per realizzare un buon film se di base non c’è una grande storia da raccontare e vivere. Forse, più che rimandarlo di un anno, Il Viaggio di Arlo doveva essere cancellato nel buon nome di uno degli studi più importanti del nuovo secolo.