Visto a Lucca Comics & Games 2016
Non naviga davvero in buone acque la DreamWorks Animation. Dopo il flop inaspettato de Le Cinque Leggende, lo studio si è trovato in difficoltà economica tanto da arrivare al punto di passare sotto l’etichetta del grande colosso Universal, perdendo anche la sua figura chiave storica, quel Jeffrey Katzenberg che la DreamWorks l’aveva fondata staccandosi dagli studi Disney. Il momento non è dunque propizio per puntare sull’originalità o tentare pericolosi rischi; al contrario bisogna andare sul sicuro. Lo hanno fatto con Dragon Trainer 2, film “da manuale” dove l’unica scelta interessante è stata far crescere i personaggi, lo hanno ripetuto con Home, simpatica commedia che puntava al pubblico dei più piccoli, e non fa eccezione neanche il loro ultimo nato Trolls.
Il film è la più classica delle avventure di formazione: due eroi che sono come il giorno e la notte (lei ottimista, lui perennemente negativo) devono imparare a collaborare e a volersi bene per portare a termine un’importante missione di salvataggio. Se si è alla ricerca di una storia che lasci a bocca aperta dallo stupore, Trolls non è esattamente la scelta giusta. Dalle personalità dei due protagonisti fino al villain a sorpresa che ricalca Hans di Frozen, è davvero difficile trovare qualcosa che non sappia di già visto durante la proiezione.
Piuttosto, ciò che davvero stupisce è il lavoro di wordbuilding che i registi Mike Mitchell e Walt Dohrn hanno messo in piedi. Un’opera partita direttamente da zero dato che le “Troll Doll” di Thomas Dam, a cui il film è ispirato, non avevano una storia ad accompagnarle né tantomeno una personalità. Il loro faccione sorridente e le braccia spalancate a simulare un abbraccio hanno suggerito ai registi e agli artisti DreamWorks di creare una sorta di comunità hippy che vive immersa nella natura e passa il tempo a cantare, ballare, fare festa e abbracciarsi continuamente. Infine, il legame dei troll col mondo vegetale ha influito anche sull’estetica del film, e allora ecco che piante, fiori, insetti e buffi animaletti sono interamente realizzati con una texture che imita il feltro o la lana, per un’esplosione di colori e morbidezza che svolge in maniera egregia il suo lavoro immergendo lo spettatore a 360° nell’universo dei troll.
C’è infine la musica, accattivante e orecchiabile, supervisionata dalla pop star Justin Timberlake (che in originale è anche la voce del co-protagonista Branch). I brani sono senza dubbio travolgenti, peccato che l’utilizzo che ne è stato fatto non renda Trolls un vero musical. Più che aiutarci a comprendere meglio i sentimenti dei personaggi, infatti, le canzoni servono a creare dei “momenti discoteca” in cui tutti si scatenano in sequenze psichedeliche a ritmo di musica. Le eccezioni sono due (la canzone di Poppy e il duetto tra i due protagonisti), e sono tra i momenti più riusciti del film.
Peccato infine anche per l’adattamento italiano: se la prova di Elisa è tutto sommato convincente (pur non potendo dare a Poppy il timbro da cartone animato che ha la sua controparte americana Anna Kendrick), il Branch di Alessio Bernabei è perfetto nel canto ma rivela molte più difficoltà nel parlato.