Sono trascorse quasi due settimane da quando il pubblico americano ha visto chiudersi l’arco narrativo della seconda stagione di Agents of S.H.I.E.L.D., e tra poco anche noi italiani potremo gustare lo spettacolare doppio episodio finale che farà approdare tutti i personaggi principali e non ad un nuovo punto di partenza. È quindi il momento di tirare un po’ le fila del discorso e presentare un bilancio tra “come eravamo” e “cosa siamo diventati“.
ATTENZIONE, QUANTO SEGUE CONTIENE GROSSI SPOILER SULLA PRIMA STAGIONE E SULLA PRIMA PARTE DELLA SECONDA (all’incirca fino al 2×16).
La maggior parte del pubblico non ebbe un buon impatto con il primo prodotto televisivo compreso nel Marvel Cinematic Universe. Le puntate apparivano troppo slegate tra loro e ciò le rendeva poco assimilabili in un contesto dove “tutto è collegato“. La sensazione in effetti era che la bella squadra messa su da un Phil Coulson (Clark Gregg) curiosamente sopravvissuto allo scontro con Loki mostrato in The Avengers, ogni settimana si trovasse a fare i conti con la risoluzione di un caso sempre diverso, ma senza che, parallelamente, venisse sviluppata una trama più ampia capace di collegare tra loro tutti gli episodi della stagione (cosa che avviene solitamente in tutte le serie televisive degli ultimi anni, persino in quelle crime dove più che altrove è l’indagine del giorno a essere in primo piano). Qualche apparizione di personaggi noti come Maria Hill (Cobie Smulders), Nick Fury (Samuel L. Jackson) e Lady Sif (Jaimie Alexander), un piccolo legame con Thor: The Dark World, ma niente di troppo interessante.
Poi è arrivato Captain America: The Winter Soldier, con la caduta dello S.H.I.E.L.D., la scoperta delle infiltrazioni da parte dell’HYDRA e in quel momento la serie ha mostrato davvero tutto il suo potenziale. Mutano gli equilibri con lo spiazzante tradimento di Ward (sicuramente più spettacolare di quello di Garrett) e si aprono così i giochi per assemblare un buon finale di stagione. Ma in realtà, a parte la storyline del Chiaroveggente, di chiuso non c’è un bel niente: Fitz (Iain De Caestecker) ha subito gravi danni neurologici dopo aver dichiarato i suoi sentimenti per Simmons (Elizabeth Henstridge) che invece sembra restia a ricambiare, Skye (Chloe Bennet) è stata tradita non solo dal suo Agente Supervisore ma anche dalla persona che iniziava ad amare, May (Ming-Na Wen) dovrà subentrare nel ruolo di AS della giovane hacker e di vice di Coulson cui invece è affidato da Nick Fury in persona il compito di ricostruire lo S.H.I.E.L.D. e riabilitarne la reputazione agli occhi dell’opinione pubblica (in particolare del generale Glenn Talbot, interpretato da Adrian Pasdar)… mentre inizia a essere perseguitato dalla necessità di scrivere gli stessi strani segni alieni che avevano fatto impazzire Garrett prima di lui.
Ed ecco quindi iniziare questa seconda stagione, con l’aggiunta di nuovi volti che andranno a rinforzare le fila dell’indebolita organizzazione segreta. In prima linea Lance Hunter, interpretato da Nick Blood, un mercenario dalla risposta pronta, seguito a ruota dalla sua micidiale ex moglie Bobbi Morse (Adrianne Palicki) già agente dello S.H.I.E.L.D. ma temporaneamente sotto copertura come capo della sicurezza di una delle basi dell’HYDRA, e Alphonso MacKenzie detto Mack (Henry Simmons). Anche la compagine dei villains si arricchisce e si può dire si moltiplica dando vita a più schieramenti che di volta in volta riordinano i loro equilibri ora alleandosi, ora ostacolandosi. Il principale sembra essere quello con a capo la temibile testa dell’HYDRA Daniel Whitehall (Reed Diamond), affiancato dal fido Sunil Bakshi (Simon Kassianides), particolarmente interessato a uno strano manufatto alieno, il Divinatore, capace di ridurre in pietra e poi in polvere gli esseri umani, ma al quale alcuni sembrano resistere come la già nota Raina (Ruth Negga). E poi c’è lui, il padre di Skye, Cal, magistralmente interpretato da un Kyle MacLachlan che dona al personaggio un complesso tocco di follia, regalandoci forse la miglior performance che lo show abbia mai visto in più di 40 puntate.
La serie quindi, in direzione completamente opposta al suo esordio, inizia a sviluppare diverse trame con archi narrativi estesi a più di un episodio, con continue comparse e scomparse di fronti, alleanze fragili e ribaltabili in poco tempo. Ogni personaggio sembra raccontare la propria storia in modo autonomo rispetto agli altri: dai difficili tentativi di recupero di Fitz, alla distanza che ormai si è creata con Simmons, passando per la drammatica storia del passato di Skye e la folle mania che suo padre ha di riabbracciarla, le difficoltà di Coulson nel guadagnarsi la fiducia delle autorità governative e l’aggravarsi della sua ossessione per quelle strane scritte che si confermano risvolti problematici del progetto T.A.H.I.T.I. (di cui veniamo a sapere tutto), la difficile lotta contro l’HYDRA, Ward (Brett Dalton) che col passare del tempo sembra perdere il senno e ogni moralità mentre il suo passato viene in modo controverso portato alla luce e, infine, il desiderio di Raina di compiere il proprio destino. Tutte queste storie si uniscono quindi in un mid-season finale che porta a un nuovo punto di non ritorno con il cambiamento/rivelazione che segna maggiormente la stagione e che apre orizzonti di possibilità: con un film a loro dedicato previsto per il 2019, gli Inumani iniziano a comparire in Agents of S.H.I.E.L.D. e, in particolare, nelle figure di Raina e Skye dopo il loro attraversamento delle nebbie create proprio da quel Divinatore che aveva tanto interessato Whitehall. Non manca però il tempo per gustarci qualche apparizione di Hayley Atwell nei panni dell’agente Peggy Carter (anche per lanciare la serie ad ella dedicata, trasmessa durante la pausa invernale) e scoprire come anche lei sia legata a Whitehall e al Divinatore. Così come c’è tempo per renderci conto di che fine ha fatto Donnie Gill (Dylan Minette) e tentare di salvarlo dall’HYDRA.
Con così tanti personaggi da gestire, era prevedibile che qualcun altro, dopo Isabelle Hartley (Lucy Lawless) nel primo episodio, scomparisse dalla scena. E la “scelta” è caduta su Triplett (B.J. Britt), il quale però obiettivamente iniziava a essere davvero superfluo portandoci così a non sentirne troppo la mancanza.
Tornati quindi dopo le otto settimane gestite da Peggy Carter, si aprono nuove vicende e si sviluppano sotto trame poco in luce nella prima parte come quella che vede Mack e Bobbi tramare qualcosa alle spalle di Coulson. Ma il blocco narrativo principale riguarda certamente Skye e la necessità di fare i conti con i suoi nuovi poteri apparentemente incontrollabili (oltre che con i rinnovati desideri di vendetta di suo padre). La serie rallenta un bel po’ per permetterci di approfondire la questione “Inumani”, la loro genesi, la loro presenza sulla Terra (in questi discorsi trova spazio anche una nuova comparsata di Lady Sif), come sono organizzati e come si siano isolati dal resto del mondo per paura di essere oggetto di esperimenti o di essere etichettati come minacce da annientare. In quest’arco narrativo dominato dappertutto da pregiudizi, fa il suo ingresso anche Robert Gonzales (Edward James Olmos) e il suo vero S.H.I.E.L.D. per il quale lavorano Bobbi e Mack (si gioca nuovamente, come in un revival, sull’improvviso voltafaccia), che forse confonde ulteriormente le acque portando all’estremo la ramificazione di trame non autoconclusive e parallele, atte poi a sfociare tutte nella stessa direzione. Anche qui si coglie l’occasione per rivedere alcuni volti della prima stagione come Deathlok (J. August Richards) e l’Agente Weaver (Christine Adams). Tra gli inumani invece spiccano Gordon (Jamie Harris), il giovane Lincoln (Luke Mitchell) e l’enigmatica leader Jiaying (Dichen Lachman). Una nuova amica anche per Ward: Kara Palamas, l’Agente 33 (Maya Stojan).
L’HYDRA passa momentaneamente in secondo piano fino a quando non preme la necessità di un collegamento con il nuovo lungometraggio in uscita: Avengers: Age of Ultron. Benché sia in qualche modo originale, è probabilmente il momento più debole dell’intera stagione. Diventa un tributo dovuto che con tutte le questioni in ballo è davvero di troppo, stonato e finisce per apparire abbastanza (troppo) approssimativo. È uno di quei casi in cui l’idea è buona, ma la realizzazione per niente. Probabilmente c’è stato anche un problema di collocazione in quanto, approfondito maggiormente, sarebbe stato ottimo per riempire i tempi morti dell’inizio della seconda metà della stagione. A fare da ponte con il film ancora una volta è Maria Hill, mentre tra le fila del nemico troviamo Henry Goodman nei panni del Dr. List.
Ed eccoci quindi giunti al season finale. Davvero un piccolo capolavoro. Due ore di azione ininterrotta che riescono a risolvere e a collocare tutte le storyline in un quadro tutto sommato coerente ed equilibrato. Ancora una volta i vari personaggi approdano a un nuovo traguardo dal quale ripartire (addirittura a pochi minuti dalla fine, il 22esimo episodio sembra un series finale) e che getta le basi per una nuova stagione già confermata.
Piccola parentesi riguardante May e il suo passato (conosciamo anche il suo ex marito, lo psicologo Andrew Garner interpretato da Blair Underwood): un momento godibilissimo che finalmente scava all’interno del personaggio forse più enigmatico della serie, leggendario per certi versi, ma alla fine profondamente sofferente.
22 episodi sono forse troppi e difficili da riempire in modo efficace: è questa la vera causa per la quale la serie oscilla sempre tra alti e bassi. La necessità che si ha di allungare i tempi e contestualmente di movimentare gli eventi, a volte rischia di far gettare troppe carte sul tavolo da gioco, costringendo poi autori e registi a raccoglierle rocambolescamente. Ma ogni qual volta si crea un equilibrio tra la storyline principale e le sotto trame che le sono attorno, Agents of S.H.I.E.L.D. diventa qualcosa di memorabile, capace con qualche colpo di scena (peraltro che scaturisce sempre dalle solite dinamiche) di sorprendere sempre. Mi trovo d’accordo con quanti hanno detto che siamo ormai giunti ad un punto tale che i lungometraggi non possono più ignorare le serie tv (a maggior ragione se sono poi prodotti come Daredevil), e devono iniziare a piegarsi lievemente alle loro trame più che esigere il contrario. E sotto quest’ottica quindi è davvero un peccato che Joss Whedon, co-creatore della serie, affermi che per lui Coulson non è mai tornato in vita.