In occasione dell’uscita al cinema di Berni e il giovane faraone, una nuova avventura tutta italiana ambientata nello splendido Museo Egizio di Torino, abbiamo incontrato a Giffoni Film Festival 2019 il regista Marco Chiarini, che ci ha raccontato alcune curiosità sul film.
Prodotto da 3Zero2 e co-prodotto da The Walt Disney Company Italia con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, Berni e il giovane faraone è una favola moderna per bambini e ragazzi che racconta la storia di un’amicizia veramente unica. Tutto ha inizio quando Berni, ragazzina di tredici anni che vive con la madre archeologa sopra il Museo Egizio di Torino, risveglia improvvisamente la mummia di un giovane faraone, Ramsete XIII, rimasto dormiente per tremila anni. I due scoprono di essere legati da un’antica profezia: solo se riusciranno a trovare l’anello perduto della madre di Ram, il faraone potrà scoprire il segreto dell’immortalità; altrimenti tornerà ad essere mummia per sempre.
Il film sarà al cinema per un evento speciale dal 20 al 22 luglio 2019, dopodiché è prevista la messa in onda su Disney Channel con data ancora da destinarsi.
Intervista a cura di Irene Rosignoli e Jacopo Iovannitti.
Ciao Marco! Una cosa che ci ha colpito subito di Berni e il giovane faraone sono le numerose influenze dal cinema d’animazione per quanto riguarda la narrazione e le gag. Hai un background in questo campo?
Sì, è così. Nel mio film precedente, L’Uomo Fiammifero, che vi consiglio di vedere, ci sono numerose sequenze in animazione. Io ho lavorato molto con l’animazione a passo uno, e comunque sono appassionato di tutto il mondo dell’animazione classica e anche digitale, che ho ampiamente studiato e che mi ispira. E si vede tantissimo dal film!
Berni e il giovane faraone è un film di genere fantasy con target ragazzi, una produzione molto rara in Italia. Perché secondo te questo genere non riesce a svilupparsi?
Il discorso è molto ampio e complesso, ma per fare i film di genere c’è bisogno di un’impostazione produttiva industriale che per una serie di vicissitudini in Italia viene vista sempre con una nota dispregiativa, come se costruire un film con un approccio industriale preciso sia una nota di demerito. Qui abbiamo più l’idea del cinema d’autore, del creare a tutti i costi un’opera d’arte, ma questo può avvenire anche in altri contesti. Per esempio la Pixar riesce a realizzare prodotti di alto livello anche autoriale come Toy Story 4, con dei riferimenti filosofici molto complessi e profondi ma mantenendo una narrazione affascinante e popolare. Io mi trovo particolarmente ben disposto verso questo meccanismo produttivo. Sono contento e orgoglioso di questo film. Le cose comunque stanno lentamente cambiando soprattutto con le serie Tv. In Italia forse la troppa presenza di finanziamenti dallo Stato e non da un privato che doveva far rientrare il capitale investito ha creato questa deriva. Adesso le cose stanno cambiando grazie a Netflix, Amazon, Sky, tutti privati che hanno idee chiare e hanno capito che il genere assicura una risposta dal pubblico, come nei casi di Suburra, Gomorra, etc.
I due protagonisti sono bravissimi e hanno un’ottima chimica. Che cosa vi ha colpito di loro al momento del casting? Perché proprio loro due?
Abbiamo cercato di trovare ragazzi dallo sguardo in grado di comunicare sincerità al pubblico. Abbiamo fuggito le fisionomie più moderne. Ho voluto evitare attori dalle facce considerate “belle”, con una fisionomia estetica moderna. Specialmente nel caso di Berni si è proprio ricercato un anonimato che facesse leggere con più sincerità le sue emozioni. Come ricercare un vestito grigio per poi poter mettere in evidenza due o tre dettagli colorati del vestito stesso.
Se dovessi riassumere il messaggio di Berni e il giovane faraone, quale sarebbe?
Sarebbe la forza e il potere della condivisione. Parlo di condivisione reale, non di quella sui social. Il dare qualcosa per avere qualcosa di ritorno, donare per essere arricchiti. Dare, ricevere in cambio e fare in modo che questa condivisione generi qualcosa di bello.
Foto: Disney