Recensione di Irene Rosignoli e Alessandro Biti
Una nave, una città in degrado, una ragazza muta, un principe azzurro con la pistola e una scarpetta che serve a nascondere i traffici di droga. Da qualche settimana è al cinema Gatta Cenerentola, quello che è stato definito “il miracolo napoletano” (bellissima, a proposito, questa risposta), l’ultima fatica di Mad Entertainment, un film che non solo è bello, nel senso più complesso e meno semplicistico del termine, ma anche importante per la situazione attuale del cinema e dello spettacolo italiani e non solo.
Perché, come giustamente molti hanno sottolineato, è vero che Gatta Cenerentola si inserisce in un clima di rinascita del cinema italiano, ma questa è solo una parte della verità. Questo film ha un ruolo importante a livello europeo, collocandosi in un processo molto simile che coinvolge l’animazione europea tutta. L’esperienza di Mad Entertainment non è troppo diversa da quella dell’irlandese Cartoon Saloon o dai lavori dei francesi Benjamin Renner e Rémi Chayé. Si tratta di film animati che, non potendo necessariamente competere ad armi pari con i grandi studi americani, sono costretti a trovare espedienti estetici e stilistici che scavalchino in modo intelligente i limiti del budget. Ma soprattutto sono film animati che non nascono come merce o dalla spasmodica ricerca del franchise da riutilizzare altre due o tre volte con sequel e spin-off. Le piccole perle prodotte in Europa nascono dal caro, vecchio e puro bisogno di raccontare una storia, e molto spesso con un prezzo da pagare che è il rischio di non sapere se si potrà ripetere l’esperimento o no.
Quando i soldi sono pochi succede però anche un’altra cosa: la libertà creativa è assoluta. È allora che nasce l’idea di un film d’animazione per adulti, quando la stragrande maggioranza del resto del mondo punta al pubblico delle famiglie. È allora che si pensa di raccontare una storia di camorra e di violenza, di un futuro rubato, di un’infanzia perduta, di una via d’uscita che sembra impossibile. Ed è allora che traspare l’amore – per la storia che si sta narrando, per la città che si sta celebrando (Napoli) ma anche per le semplici possibilità di un mezzo artistico, l’animazione, che è veramente illimitato nelle mani di chi non si pone limiti.
E quanto amore c’è nelle immagini e nelle musiche di Gatta Cenerentola. Nella grazia dei movimenti di Mia, nella bellezza spezzata della matrigna Angelica, nel coraggio del “principe azzurro” Primo Gemito, ma soprattutto in quel sogno impossibile di Vittorio Basile, armatore e scienziato proprietario della nave Megaride. Il suo è il sogno di chi guarda avanti in un paese in cui si può solo guardare indietro, la consapevolezza che dalle profonde contraddizioni di una città ferita possono nascere l’arte migliore e la bellezza più stupefacente. Vittorio Basile è insomma gli artisti della Mad, e forse tutti coloro che stanno lottando per questa rinascita del cinema italiano. Tuttavia i personaggi agiscono tra un futuro che sembra impossibile e il rimpianto del passato: il progetto del Polo della Scienza e della Memoria fallisce, e il suo fallimento è la fine della speranza nel futuro. E non è un caso che è allora che l’ambientazione viri verso lo steampunk. La nave, i corpetti vittoriani e in generale l’ambientazione ricordano molto la belle Epoque. Ed è significativo che questo succeda nella seconda parte del film, a simboleggiare che l’utopia, in mani sbagliate, diventa distopia. La conclusione della fiaba è però letteralmente un salto verso la speranza, che passa per la violenza, la morte e l’abbandono, ma che è uno splendido augurio per quello che verrà.
Forse non è un caso che lo studio di animazione su cui sono puntati tutti gli occhi degli italiani si chiami Mad Entertainment, perché bisogna ammettere che ci vuole una buona dose di follia per produrre un film come Gatta Cenerentola. Eppure è questa “madness” la chiave di tutto, perché è lo spirito visionario che traccia la strada verso l’inesplorato, è l’artista che invece che dare al pubblico ciò che si aspetta, sa guardare oltre e indovinare l’inaspettato che ha bisogno di vedere. È il talento di grandi filmmakers, che l’animazione italiana può finalmente vantare di nuovo.
E se non bastasse la carica innovativa del film in sé, prima del film potrete ammirare il breve corto in animazione tradizionale Simposio Suino in Re Minore. Diretto da Francesco Filippini e prodotto da Sky Dancers insieme a Mad Entertainment, è la storia di un cinghiale antropomorfo e di una cuoca. I due sembrano conoscersi, o forse no: la creazione della storia e dei legami è lasciata in mano allo spettatore, con la colonna sonora composta da canzoni cantate nella migliore tradizione napoletana. Molti elementi richiamano i film dello Studio Ghibli, ma sono restituiti sullo schermo in una nuova veste tutta partenopea. Per l’intero corto si respira quell’atmosfera Miyazakiana, che fa da perfetto contraltare al film che seguirà: dalla fiaba ambientata sulle rive di un lago nebbioso alla cruda realtà della camorra in Gatta Cenerentola.