Primo incontro alla View Conference 2015: Mark Osborne, regista del lungometraggio animato “Il Piccolo Principe” in uscita nelle nostre sale il 1 Gennaio 2016. Si tratta dell’adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Antoine de Saint-Exupéry.
Ma già su questo punto occorre chiarire alcune cose: lo stesso regista ammette che questa storia non si presta affatto ad essere un film, in quanto si tratta di una lunga poesia. Nel corso del panel ha voluto più volte sottolineare come questo capolavoro della letteratura, conosciuto e amato in tutto il mondo, sia qualcosa a cui è estremamente affezionato già da molto tempo prima che gli fosse chiesto di lavorarci: è stato un regalo della sua fidanzata (poi divenuta sua moglie) e in generale questa storia li ha tenuti legati anche quando Osborne ha dovuto allontanarsi per studiare al CalArts.
A proposito del suo percorso formativo, il film che lo ha per primo indirizzato verso l’idea di lavorare nell’industria cinematografica è stato Star Wars, mentre, per quanto riguarda l’animazione, è sempre stato molto interessato all’idea di mescolare tecniche diverse. Un legame particolare con la stop motion, con la quale crede sia possibile creare mondi nei quali è più facile e suggestivo immergersi; ma grazie al lavoro svolto con Kung Fu Panda, il regista ha potuto scoprire le sbalorditive potenzialità della CGI.
Essendo estremamente legato alla storia, il suo intento è stato quello di proteggere il libro e ciò ha fatto da motore perché accettasse, dopo un primo rifiuto, la proposta di lavorare a questo progetto. Racconta di aver impiegato ben nove mesi per trovare il giusto modo di realizzare il film: diverse sono state le ricerche che ha compiuto (addirittura ha provato a trarre qualcosa dalle quattro bozze di sceneggiatura di un progetto cinematografico basato sulla storia di Saint-Exupéry a cura di Orson Welles. Quest’ultimo però non è mai riuscito a trovare un’idea che lo sodisfacesse. Erano, dice Osborne, solo trasposizioni del libro così com’è, senza la costruzione di una esperienza cinematografica che potesse eguagliare o comunque rendere giustizia alla magica esperienza che regala la lettura de “Il Piccolo Principe”) fino a comprendere che ciò il tratto davvero speciale del racconto è l’essere incentrato sui rapporti tra persone.
Un tema che egli ha cercato di tradurre nella “cornice” del film, ovvero la vicenda che vede protagonista una bambina e il suo relazionarsi con la madre e il vecchio vicino di casa. È un mondo quello costruito da Osborne in cui il libro non è mai stato pubblicato e dove l’Aviatore (il vicino per l’appunto) e la sua storia non vengono compresi. Un mondo tutto focalizzato sulla programmazione, su calendari e programmi da rispettare, in cui la bambina non è altro che “un’adulta in miniatura in preda a una crisi di mezza età”. Atmosfere e valori lontanissimi quindi da quelli della storia di Sain-Exupéry, nella quale la piccola, grazie al suo nuovo amico-nonno, si immergerà e riuscirà ad apprezzare totalmente. Ed ecco quindi la stop motion, con la quale ci si addentra in un universo fatto letteralmente di carta, in cui la bidimensionalità che può essere quella delle illustrazioni, lascia progressivamente il posto a una plasticità costruita comunque per la maggior parte con la carta. Proprio la carta ha impressionato Osborne durante le sue ricerche, questo materiale che gli faceva apparire il manoscritto e le illustrazioni come qualcosa di fragile e indifeso, pronto a sparire e la cui divulgazione è stata messa a rischio più e più volte. E per questo ancora di più era forte l’idea di trovarsi avanti al compito di dover preservarle e proteggere una materia tanto delicata. Tutti coloro ai quali ha chiesto di collaborare alla realizzazione di questo progetto, sono persone con questo stesso intento: proteggere il libro. Molti, a cominciare dal musicista Hans Zimmer che ha curato la colonna sonora, arrivavano ai primi meeting con un atteggiamento molto scettico, finendo poi per cambiare opinione e convincersi a prendere parte a questa delicata missione di protezione. Con Zimmer si è cercato di proporre uno stile musicale che rievocasse quello francese ma che risultasse qualcosa di mai sentito prima in nessun altro film di animazione. Importante a detta di Osborne è stata la collaborazione con la cantante Camille, la quale con la sua voce entra perfettamente in accordo con gli strumenti dell’orchestra e che lungo l’arco dell’intero lungometraggio aiuta a sottolineare gli stati d’animo della protagonista.
Una protagonista al femminile che fungesse da esempio per sua figlia ma che sopperisse in generale alla massiccia presenza di uomini nella storia originale. Non è importante per Osborne il sesso dei personaggi principali di un lungometraggio animato in relazione alla tipologia di pubblico che andrà a vederlo nelle sale (“non c’è bisogno di protagonisti maschili per attirare bambini e ragazzi al cinema”) in quanto per lui i bambini fino a una certa età non danno alcuna importanza alla differenza di genere. E sempre su questo tema, ha voluto sottolineare come il mondo dell’animazione rischi di continuo di essere un club di soli uomini e dello spazio maggiore che bisognerebbe dare alle donne nel settore: egli stesso si è detto meravigliato per il numero di ragazze e donne con le quali ha lavorato a questo lungometraggio, molto superiore rispetto agli standard.
Il libro è magico, è un’opera d’arte che invita ad essere percorsa e a ripercorrere così la propria infanzia, i problemi affrontati in quel periodo e a mettere in gioco la propria condizione di adulti per migliorarsi. Non è quindi affatto un racconto per bambini, bensì si traveste in questo modo per poi svelarsi realmente come libro “per esseri umani” così come i film di animazione di Miyazaki. In generale anche questo lungometraggio vuole essere così, non concentrato su gag e cose divertenti , ma rivolto a esseri umani: i bambini si porranno delle domande, i genitori si emozioneranno (come accade quando leggono la storia di Saint-Exupéry ai propri figli) e insieme ne parleranno e creeranno dei legami fondati su “quelle piccole cose che ci rendono umani”.
Alla nostra domanda sulla cornice da lui creata e nella quale sembra rappresentata una realtà nostalgica, idilliaca per certi versi, dove la bambina sceglie di distrarsi trascorrendo pomeriggi all’aria aperta, tra l’altro ascoltando i racconti di un vecchio, e l’impatto che può avere su di noi, abituati a non figurarci un mondo senza tecnologia, che non ci leghi ai nostri computer e smartphone, Osborne ci ha risposto: “Io stesso come genitore lotto perché i miei figli si allontanino da questo bisogno irrefrenabile di tecnologia. Nel film appositamente non ho voluto inserire o rappresentare alcuno schermo. Questo lungometraggio personalmente mi invoglia a trascorrere del tempo con i mio figli e mi piacerebbe fosse così per tutti i genitori. D’altra parte mi piacerebbe anche ce le nuove generazioni sviluppassero rapporti molto più profondi coi loro nonni. Mi è rimasta impressa la reazione di una bimba dopo uno dei primi screen-test la quale affermò di volere anch’ella come vicino un nonno come l’Aviatore! Ma ammetto che un gran risultato sarebbe già quello di invogliare a spegnere il telefono e uscire a fare una passeggiata all’aperto”.
Infine, sulla questione che tanto ci sta a cuore sulla direzione che il mondo dell’animazione sembra star prendendo, il regista ha dichiarato di essere fermamente convinto che non sia la tecnica ad interessare il pubblico, soprattutto i più piccoli, quanto la storia o i personaggi. Ma a Hollywood interessano i numeri e in materia ad esempio di stop motion non ci sono abbastanza progetti precedenti su cui poter basare una sicurezza in termini di incassi. Per i suoi prossimi progetti ha accennato all’idea di una “commedia da schiaffi” per la quale cerca una produzione da molto tempo. In generale crede però che l’animazione abbia ancora tante frontiere e modalità espressive inesplorate: finora si è solo scalfita la superficie di ciò che è possibile fare.