Era il 1998 quando al cinema arrivava Mulan, 36° Classico Disney diretto da Tony Bancroft e Barry Cook. Ispirandosi alla nota leggenda dell’eroina cinese, il film fu un buon successo di pubblico e critica. Ora, a distanza di ben 22 anni, la storia torna in versione live action. A differenza del Classico la distribuzione del film diretto da Niki Caro è stata molto travagliata. Inizialmente l’uscita era prevista per il 2 novembre 2018, ma fu rimandata a favore de Lo schiaccianoci e i quattro regni al 27 marzo 2020. La data poi è slittata prima al 24 luglio e poi al 21 agosto a causa dell’epidemia di Coronavirus. Infine il film è arrivato direttamente su Disney+ con accesso VIP al costo di € 21.99. Non senza polemiche.
E purtroppo la lunga attesa non è stata ripagata, perché questa storia distributiva travagliata ci ha consegnato una grande delusione, un film noioso e a tratti nonsense, costato ben 200 milioni di dollari. Ma procediamo con ordine.
Hua Mulan (Yifei Liu) è una vivace ragazza di un villaggio della Cina imperiale che fatica a rispettare le leggi e le tradizioni del suo popolo. Per la giovane è difficile accettare di poter portare onore alla sua famiglia esclusivamente ricoprendo il ruolo di sposa e madre. Per quanto lei sia abile nel combattimento, scopre presto che questo è un ruolo riservato solo agli uomini. Le cose cambieranno quando lo spietato Bori Khan (Jason Scott Lee), capo dei Rouran, invaderà l’impero costringendo l’Imperatore (Jet Li) a emanare un editto con cui richiamare alle armi un uomo da ogni famiglia.
Per impedire che il padre già debilitato dall’ultima guerra torni sul campo di battaglia, Mulan prende il suo posto. Fingendosi uomo affronterà un duro addestramento e la guerra per la sopravvivenza dell’Impero sotto la guida del comandante Tung (Donnie Yen di Rogue One). Grazie al suo coraggio la ragazza dimostrerà infine il suo valore.
Come il Classico del 1998, anche il live action si ispira alla nota leggenda cinese, ma veniamo avvisati sin da subito del fatto che quella a cui assisteremo è solo una delle tante versioni esistenti. Un espediente narrativo che permette quindi una certa libertà di manovra e consente di inserire elementi nuovi e diversi rispetto al film animato. Fin dal prologo, dunque, lo spettatore è cosciente che si tratti di una storia del tutto diversa. E questo è l’unico punto a favore del film, l’aver avuto il coraggio di discostarsi completamente dal cartone animato.
Dopo la premessa, infatti, si dipana una storia che si prende troppo sul serio, finendo con lo sfociare nel didascalico e spesso nel ridicolo. Tra frasi fatte, situazioni involontariamente comiche e personaggi a dir poco piatti la storia non appassiona mai veramente. Una vicenda la cui sceneggiatura riprende i momenti fondamentali del Classico rivisitandoli in chiave più realistica ma fin troppo macchiettistica.
Sin dall’inizio si intuisce poi come il film manchi di cuore. La storia non cattura mai veramente lo spettatore, inoltre Mulan risulta un personaggio piatto e senza anima, rendendo impossibile entusiasmarsi di fronte alle sue vicende. Stessa sorte spetta ai suoi compagni d’armi e al villain, che manca della spietatezza necessaria per essere veramente temibile – come la sua controparte animata – e che nel finale risulta anche stupido.
Il problema principale è che nella storia fanno da padrone gli stereotipi. Il tema dell’emancipazione femminile è trattato in maniera superficiale e in modo sconclusionato, in particolare attraverso il personaggio della strega Xianniang (interpretata da Gong Li), simbolo dell’associazione tra donna e forze del male e del pregiudizio nei confronti di chi è diverso. Così come sono trattati in maniera didascalica temi come la lealtà e il coraggio di essere se stessi. Per non parlare del Chi, l’energia spirituale che pervade gli esseri viventi, concetto più volte nominato ma mai spiegato veramente.
Il film vorrebbe essere un Wǔxiá, ovvero l’equivalente orientale dei film cappa e spada occidentali, ma l’amara verità è che non ci ha creduto abbastanza. Racconta il classico viaggio dell’eroe e delle difficoltà che supera per raggiungere il suo obiettivo in maniera pedante, superficiale e ripetitiva. Inoltre come se non bastasse i combattimenti sono coreografati pigramente e vi è appena un accenno delle classiche acrobazie del genere, limitandosi a mostrare qualche calcio acrobatico ben assestato.
A tutto ciò va aggiunta una povera messa in scena. Guardando il film ci si chiede in cosa effettivamente siano stati spesi i 200 milioni di dollari di budget, visto che ambientazioni e scenografie risultano più che finte e a dir poco minimali. Stesso discorso per la regia di Niki Caro che si limita a pochi movimenti di macchina e molti primi piani, senza mai riuscire a portare lo spettatore all’interno della vicenda. La dura verità è che questa versione di Mulan è un disonore per la regista, per la Disney e, citando il Classico, per la loro mucca.
Immagini: imdb.com.