Lo spettacolare mondo preistorico di Il Viaggio di Arlo rivive nelle parole di Sharon Calahan, direttrice della fotografia che ha presentato il film Pixar a View Conference 2016.
Nel suo talk Storytelling with light l’artista ha spiegato il ruolo delle luci e dell’illuminazione nell’aiutare a raccontare una storia, concentrandosi in particolare sul suo ultimo progetto in Pixar. L’emozionante storia di Arlo e Spot infatti vanta un superbo utilizzo delle luci che enfatizzano le emozioni e il cuore di un film che è molto intimistico e personale.
La Calahan, che ha un curriculum di tutto rispetto che risale fino a Toy Story, ha poi risposto a qualche domanda che trovate qui sotto.
Quando hai iniziato a lavorare a Il Viaggio di Arlo e qual è stato il tuo ruolo nel film?
Sono entrata nella produzione quando il film è ripartito da zero dopo il cambio di regista, quindi non ho lavorato alla prima versione di Bob Peterson. Il mio ruolo è stato quello di aiutante di Peter Sohn che delegava a me ogni volta che era troppo impegnato nel riscrivere la storia per concentrarsi sull’aspetto grafico. Questo mi ha permesso di lavorare anche ad aspetti che vanno oltre il mio ruolo di direttrice della fotografia, infatti sono stata molto coinvolta nel design e nel look generale del film.
Ne Il Viaggio di Arlo vediamo un forte contrasto tra gli sfondi realistici e i personaggi più cartoon con grandi occhi e forme semplici. Dato che si può riscontrare anche in altri film Pixar, è questo adesso il nuovo stile che state sperimentando?
Con Il Viaggio di Arlo il regista Peter Sohn voleva fare in modo che i personaggi fossero molto caricaturali, più carini e dolci possibile. Allo stesso tempo il mondo doveva essere credibile: se fosse stato cartoon non avrebbe dato le stesse sensazioni e lo spettatore non si sarebbe sentito spaventato o perso come il piccolo Arlo. Non si tratta di un’epoca giurassica immaginaria, ma potrebbe benissimo essere ambientato anche ora. Non ti so dire se sia questo il nuovo stile che stiamo sperimentando intenzionalmente come studio, sicuramente in questo caso il look del film è stato dettato dalla storia e dal regista. Inoltre penso che John Lasseter giochi un grosso ruolo in questo: lui ama le cose molto dettagliate, che dunque possono arrivare fino al realistico ma d’altra parte vuole che i personaggi sembrino cartoon e che siano ben distinti da veri esseri umani o dal live action, perché ama l’animazione come linguaggio a sé stante. Quindi sicuramente molto del nostro stile viene da quello che piace a lui.
Pensi che essendo John Lasseter il capo anche dei Disney Studios questo stile possa estendersi anche a loro o resterà una vostra peculiarità?
Disney ha una tradizione molto più profonda della nostra nel disegno. Noi in un certo senso siamo nati dall’eredità Disney, ma nel momento in cui abbiamo scelto di lavorare in computer grafica ci siamo staccati completamente dal 2D e molti dei nostri designer non hanno mai lavorato a un film in animazione tradizionale. Invece in Disney si vede ancora oggi che le loro radici sono quelle e che i loro artisti hanno lavorato ai grandi classici del passato.
Puoi citare una scena in particolare in cui la luce è servita per enfatizzare le emozioni ne Il Viaggio di Arlo?
Beh, spero che la luce sia stata fondamentale per tutte le scene emozionanti! Quella che la gente cita più spesso è quella in riva al fiume di notte in cui Arlo insegna a Spot cosa significa il termine “famiglia” attraverso dei legnetti. In quella scena avrei potuto utilizzare la luce per dare un senso di tristezza, per esempio rendendola più piatta e grigia, invece ho preferito rendere il tutto molto luminoso. L’idea era di fare l’ambiente così bello da far commuovere. E spero di esserci riuscita.
Lavori in Pixar dai tempi di Toy Story. Come è cambiato il tuo lavoro nel corso degli anni?
Direi che con gli anni ho acquisito più responsabilità. Ancora oggi facciamo film sempre allo stesso modo di quando facevamo Toy Story e poi il tempo passa così veloce che non ti rendi neanche conto delle cose che cambiano. Una grande differenza è ovviamente la tecnologia: all’inizio c’erano molte cose che non potevamo fare, mentre oggi non capita quasi mai di arrenderci di fronte a una difficoltà. La più grande differenza quindi è che oggi i registi hanno più libertà e possibilità di realizzare ciò che hanno in mente e noi tecnici riusciamo ad aiutarli ancora meglio tramite le nuove tecnologie.