La nuova era di una Disney sempre più dedita ai franchise è entrata nel vivo. E se la decisione di dare un sequel a Ralph Spaccatutto poteva sorprendere, realizzare un capitolo due di Frozen era praticamente una scelta obbligata, considerato il successo senza pari registrato dal film, che solamente quest’anno è stato superato da Il Re Leone (2019) nella classifica dei cartoon più redditizi della storia. Frozen 2 – Il segreto di Arendelle adotta la più classica delle strategie per lo sviluppo di un seguito: ricerca nel primo film ciò che non era stato sviscerato fino in fondo, con l’intenzione di trarne una mitologia. Perciò, se Frozen era fondamentalmente il film di Anna, stavolta la protagonista non può che essere Elsa: attirata da una misteriosa voce, la regina di Arendelle decide di partire per un viaggio verso una Foresta Incantata che sembra racchiudere le origini e soprattutto lo scopo dei suoi poteri.
Frozen 2 risponde a tante domande lasciate in sospeso, ma non sempre lo fa in maniera convincente. Il famoso segreto di Arendelle è in fin dei conti ben poca cosa, i nuovi personaggi sono nient’altro che comparse e non hanno una reale utilità nel cammino di emancipazione delle sorelle, e in generale, nonostante un tentativo di atmosfere più oscure e pericolose, l’impressione è che nessuno degli ostacoli incontrati da Elsa sia davvero insormontabile, data la rapidità con cui la nostra eroina arriva alla fine del suo viaggio senza mai rischiare davvero di perdere qualcosa. Una sceneggiatura poco incisiva e a tratti traballante, che vuole elevarsi rispetto alla semplicità da fiaba di Frozen, ma non osa mai realmente abbandonarsi nell’epica o nel fantasy.
Si percepisce una netta difficoltà nel far coesistere gli elementi avventurosi e fantastici con quello che è e deve rimanere il focus della vicenda, ovvero il rapporto tra le due sorelle; ma se così fosse si tratterebbe di una difficoltà imbarazzante per due registi in grado di concepire una storia semplice, pulita e ricchissima di finezze nascoste come era quella di Frozen. Lo script di Frozen 2 ne è una pallida imitazione, e nemmeno le sorelle ne escono benissimo: Elsa ha perso ogni elemento di fragilità che la rendeva un personaggio vivo, reale nel primo film, trasformandosi quasi in una supereroina Marvel; Anna d’altra parte è forse quella che ha la peggio: da determinata e ottimista che era, qui diventa quasi un’ombra della sorella, seguendo Elsa in un impeto quasi disperato, e persino il suo cambiamento alla fine è troppo repentino e necessitava forse di qualche passaggio in più.
Il neo più grande risulta infine il comparto musicale. È veramente difficile credere che si tratti degli stessi filmmaker e degli stessi compositori che hanno dimostrato di saper gestire così sapientemente il genere musical nel 2013. Frozen si apriva con una trentina di minuti quasi interamente musicali, in cui la storia scorreva via con una fluidità incredibile, frutto di uno storytelling musicale che è quello della tradizione Disney, il perfetto esempio di show, don’t tell. Non solo: qualsiasi tipo di “spiegone” era stato abilmente aggirato, basti pensare al confronto tra Anna e Elsa nel palazzo di ghiaccio, alleggerito – ma allo stesso tempo caricato di intensità – da una canzone. Niente di tutto ciò è presente in Frozen 2 – Il segreto di Arendelle: con stupore, ci si ritrova davanti a canzoni che sono più che altro dei brevi videoclip, senza i quali la storia prettamente action filerebbe tranquillamente lo stesso. A parte Show Yourself e The Next Right Thing, il resto della colonna sonora non porta mai davvero avanti la trama, si tratta di brani perlopiù descrittivi degli stati d’animo dei personaggi, e in questo senso non sono certamente i migliori usciti dalla scuderia Disney. Frozen aveva rischiato grosso nel voler essere musical classico nel 2013, e a maggior ragione oggi, dopo il recupero del genere, dovrebbe ribadire la sua identità con uno storytelling più che mai musicale: dal sequel ci si aspettava qualcosa in più.