Grandi novità per la Casa delle Idee: su Netflix, lo scorso 14 aprile, sono state rilasciate tutte le 13 puntate che costituiscono la prima stagione della nuova serie Marvel’s Daredevil. Come noto ancor prima del rilascio degli episodi, questa è la prima di 5 collaborazioni tra la Marvel Tv, gli ABC Studios e la piattaforma online Netflix. Nell’arco di questo progetto conosceremo, oltre al Diavolo di Hell’s Kitchen, anche i supereroi Jessica Jones, Pugno d’Acciaio e Luke Cage, i quali poi uniranno le forze nell’ultima delle serie previste (che sarà una miniserie, con un numero di episodi che andrà tra i 5 e gli 8) dal titolo The Defenders. Fuori dai limiti imposti dal piccolo e dal grande schermo, nel vasto e libero mondo del web, è stato possibile lavorare in un modo molto diverso rispetto a tutto ciò che finora abbiamo potuto vedere in materia di Cinematic Universe. La mancanza di una pubblicazione periodica, oltre che rivoluzionare in qualche modo il concetto stesso di serial televisivo, riesce a mettere in risalto la grandissima continuità che permea quelle che potremmo definire 13 sezioni di un unico “lunghissimometraggio“. Siamo ben lontani da Agents of S.H.I.E.L.D. o da Agent Carter. Ogni puntata è imprevedibile, e non solo in materia di sviluppo della trama che viene di tanto in tanto segnata da alcuni colpi di scena, ma anche considerando il ritmo narrativo. Con molta nonchalance si accelera e si rallenta senza schemi prefissati: c’è tempo per riflettere e restare un’intera ora ad approfondire le dinamiche tra due personaggi, o per continuare le indagini atte a smascherare la fitta rete criminale contro la quale i nostri protagonisti si sono schierati; così come per riaccendere i motori e partire di gran carriera verso la risoluzione parziale di alcune questioni con scene di azione concitate, per lo più di lotta tra le fazioni in campo. E, a tal proposito, si è parlato molto del tono più “adulto” con il quale la storia è stata raccontata, a partire dalla presenza più massiccia che altrove di sangue che gronda nel corso dei numerosi combattimenti prevalentemente corpo a corpo. Ma ridurre la novità di Marvel’s Daredevil solo a questo è assolutamente sbagliato. Siamo in un orizzonte completamente diverso da quello in cui gli eroi più forti della Terra (e non solo) devono affrontare le ire di titani invasati o di ambiziosi successori al trono diseredati oppure minacce aliene e organizzazioni terroristiche vecchie di 50 anni sopravvissute nel silenzio e nella menzogna malgrado la caduta del regime che le aveva create. Qui più che mai siamo a New York, in una città tangibile, che vive davvero e che ognuno di noi potrebbe visitare. Un’importantissima metropoli che affronta problemi divenuti oramai ordinari nel nostro mondo come la corruzione, il denaro facile e illegale, la malavita organizzata che cerca il potere anche istituzionale dietro l’alibi di voler costruire qualcosa di nuovo e migliore dalle macerie presenti. Un quartiere quale quello di Hell’s Kitchen che ha sempre goduto di una cattiva fama, ma che, dopo recenti avvenimenti, versa in uno stato ancora più tremendo rispetto a prima e nel quale il potere illegale può insinuarsi molto facilmente e può creare una rete di protezione e di contatti incredibilmente estesa, vista l’assenza delle istituzioni legali.
Ma, e questo è forse davvero il tratto più geniale di tutta la questione dell’ambientazione, siamo pur sempre nell’Universo Cinematografico Marvel, e di questo dobbiamo sempre tenere conto. Infatti il motivo per il quale ci troviamo in questa situazione, ha le sue radici nella distruzione causata dall’invasione dei Chitauri e dal successivo intervento degli eroi più forti della Terra, narrati nel film The Avengers. Una storyline se vogliamo parallela a quella di grandi martelli magici e di colossi verdi arrabbiati che, da situazioni dichiaratamente fittizie, ci traghetta senza alcuna forzatura verso il mondo reale. Fare i conti con qualcosa di così tangibile significa invitare a riflettervi in un modo molto più diretto che insinuando stimoli per pensare in un mondo che percepiamo come poco verosimile e quindi lontano da noi. Nella fattispecie si riflette sul concetto di giustizia. Questo nodo concettuale così fondamentale da essere il cardine di tutta la sequenza dei titoli di testa di ogni episodio, è anche quello sul quale si fonda tutta la dialettica trai due personaggi più importanti della storia: Matt Murdock e Wilson Fisk. Il primo è un avvocato, quindi un uomo di legge che fa della giustizia e del ricercarla la sua attività primaria, tanto da diventare anche un vigilante mascherato che combatte per ciò che è giusto in strada, in quei luoghi dove la legge non riesce ad arrivare. Il secondo è un leader, la cima di una piramide composta da esponenti della malavita internazionale che per così dire si dividono il mercato e i profitti, interessato a dominare sul quartiere di Hell’s Kitchen affinché si costruisca un mondo migliore, perfetto a suo modo di vedere. Due persone che se non hanno la certezza di essere mossi da nobili scopi, ne hanno sicuramente la convinzione.
Ma fino a che punto il fine giustifica i mezzi? È giusto non servirsi esclusivamente della legge per combattere l’illegalità? D’altra parte è giusto che i sistemi giudiziari non riescano a contrastare efficacemente il cancro della corruzione e della malavita ben innestato nei meccanismi attraverso i quali vive e funziona una città? È giusto sporcarsi le mani, in senso molto letterale, per difendere i più deboli? È giusto cercare il dominio sugli altri, con tutti i mezzi possibili, per poter poi fare la differenza e creare un mondo migliore? È giusto rischiare di far annegare la propria anima nel male perché poi ne nasca il bene? (E su questa linea potremmo anche chiederci se sia giusto che per salvare il mondo, i supereroi siano autorizzati a sfasciare tutto senza occuparsi della desolazione e della necessità di ricostruire che subentrano immediatamente dopo).Sulla sottile linea che divide un male detto più nobile e necessario da uno molto più tetro e disonorevole, camminano i due personaggi, cercando di buttarsi a vicenda di sotto, dove non c’è una rete ad attutire la caduta e dove si acquista la consapevolezza della propria dannazione e del proprio status di criminale. Murdock, diventato cieco da bambino, è riuscito, grazie a un duro ed estenuante allenamento, a potenziare i 4 sensi rimanenti e ad apprendere diversi stili di combattimento che gli hanno permesso di assumere la sua doppia identità mascherata e di intervenire quindi con molta efficacia contro malviventi di qualsiasi tipo, nazionalità e importanza. Educato da un padre pugile (che tra l’altro ha dovuto combattere contro un certo Creel che tutti gli appassionati di Agents of S.H.I.E.L.D. e di fumetti, ricorderanno cosa diverrà…) contrario all’idea che il figlio possa seguire le sue orme e svegliare il diavolo che si cela all’interno di ogni Murdock perché si sfoghi nel combattimento, e che sacrifica addirittura se stesso uscendo da un circuito di illegalità per fare in modo che il suo piccolo Matt possa essere fiero di lui. Trovandoci in argomento, altro grande punto di forza nella narrazione è il non aver confinato il racconto sulle origini del nostro eroe mascherato (che ricordiamo non indossa il classico costume rosso e nero dalla prima puntata) a un unico episodio, ma presentarci diversi flashback lungo tutto l’arco della stagione. Dall’incidente e dal rapporto col padre e con la cecità, dopo qualche puntata vediamo come il suo mentore Stick, in occasione del suo ritorno a New York, gli abbia insegnato ciò che mette in pratica in combattimento, fino poi ad arrivare, verso la fine, a scoprire e approfondire il legame col suo socio e amico Foggy Nelson, cui Elden Henson riesce a dare uno spessore tale dal non permettere allo spettatore di annoiarsi nel seguirlo “sopra le righe”. Ma flashback interessanti riguardano anche Wilson Fisk, magistralmente e intensamente interpretato da un Vincent D’Onofrio che sperava, e forse ci è riuscito, di dare al personaggio la sua “versione definitiva”. L’ossessione per un dipinto bianco, sul quale sembrano rimasti come dei segni di intonaco non levigato, lo riconduce all’infanzia, a un padre che non fa cose giuste e che attira su di sé l’odio del figlio. Wilson non vuole diventare come suo padre e, a detta del suo fido Wesley (uno straordinario Toby Leonard Moore) ama questa disastrata New York. Crede davvero che diventare il capo garantirà ai suoi concittadini un mondo perfetto in cui vivere. Non si chiede mai se lo stia facendo nel modo più consono, perché è convinto che sia così. E questa è la grande differenza con Murdock, che invece, stimolato anche dalla sua amica infermiera Claire (Rosario Dawson) e dalle discussioni morali e teologiche che intrattiene con l’aperto mentalmente quanto acuto Padre Lantom (Peter McRobbie), si chiede sempre quale sia quel sottile confine oltre il quale non spingersi per non diventare lui stesso ciò che cerca di combattere. E la sua risposta è chiara: non uccidere. Ma l’umanità di Fisk a un certo punto viene fuori, e non quando capisce di essere un brigante invece che un samaritano, ma nel suo amore per Vanessa (Ayelet Zurer), che forse lo rende meno detestabile anche allo stesso Murdock. Se Charlie Cox sembra molto più a suo agio nelle vesti di principe del foro rispetto ai momenti in cui indossa la maschera e la bella Deborah Ann Woll, nei panni di Karen, riuscirà anch’ella a mettere in discussione la nostra idea di giustizia insieme a Vondie Curtis-Hall interprete del reporter Ben Urich, il team dei cattivi è quello che attorialmente spicca. Impossibile non provare simpatia per il viscido Lealand Owlsley (Bob Gunton) e il suo sarcasmo pungente, così come non si può non essere colpiti dal magnetismo di Madame Gao (Wai Ching Ho). Insomma, una serie più che promossa che, con le sue novità, ci fa davvero capire come i Marvel Studios e la Marvel Tv possano spingersi e osare anche con generi così diversi da quanto abbiamo visto fino ad ora e con risultati straordinari. Non sorprende quindi la decisione di produrre una seconda stagione dello show che si ipotizza verrà rilasciata a poca distanza da qualcun’altra delle prossime collaborazioni con Netflix, per le quali si è creata ugualmente tanta aspettativa.