Non sbaglia un colpo, Cartoon Saloon. In pochi anni di attività, questo piccolo studio irlandese nato letteralmente da tre artisti che volevano mettersi in proprio è riuscito a diventare la punta di diamante dell’animazione indipendente, risvegliando un business che ne aveva disperatamente bisogno (oggi i film animati rappresentano oltre il 30% della produzione cinematografica in Irlanda, con ricavi di quasi 100 milioni di euro l’anno). Tre lungometraggi, tre meritatissime nomination all’Oscar, tre opere di eccellente qualità artistica che hanno raccolto lo scettro di realtà come lo Studio Ghibli, dimostrando che sì, la grande animazione può esistere anche fuori dai colossi americani.
Dopo l’ottimo The Breadwinner, che aveva spostato il setting in Afghanistan, con Wolfwalkers (disponibile su Apple TV+) lo studio torna a ciò che sa fare meglio: un racconto tipicamente irlandese, sospeso tra storia e mitologia, diretto da quel Tomm Moore che Cartoon Saloon lo ha fondato e che negli ultimi dieci anni si è già imposto come uno dei più grandi registi d’animazione viventi. Protagoniste sono Robyn, figlia undicenne di un cacciatore inglese chiamato in Irlanda per sterminare gli ultimi branchi di lupi rimasti, e Mebh, che invece coi lupi vive, corre e respira essendo una “Wolfwalker”, un essere umano in grado di trasformarsi in lupo durante il sonno.
E in effetti potremmo anche limitarci ai nomi dei personaggi, perché Wolfwalkers è un film semplice, semplicissimo, ma soprattutto character-centrico, cosa che lo rende in buona sostanza un classico istantaneo. Tomm Moore e Ross Stewart sanno che per allacciare il cuore dello spettatore non serve altro che un personaggio credibile, ed ecco allora che tutto ciò che viene disposto sulla scena o inscritto nella sceneggiatura è al servizio dei personaggi, concorre ed è utile unicamente al percorso di crescita di Robyn e Mebh. Nessun tentativo facile di stupire o distrarre lo spettatore: l’attenzione rimane sulle due ragazze, questa è la loro storia, e ne sono assolute protagoniste fino alla fine.
Ma Wolfwalkers è anche un film complesso, stratificato, politico come è politico il pensiero del suo regista. Moore e la sua crew intrecciano e rendono interdipendenti le tematiche dell’antispecismo, del colonialismo e del femminismo con la cultura, l’arte e la storia irlandese, in un processo di rilettura sofisticatissimo nascosto sotto la modesta superficie di una storia di amicizia tra ragazze. È, in poche parole, grande cinema, forse il miglior cinema a cui ambire, quello che riesce a dire tutto nella maniera più essenziale possibile.
Ad essere ricercata è anche la cura nell’art direction. Ci troviamo davanti a una nuova vetta per lo studio irlandese, che sembra inarrestabile nella sua capacità unica di perfezionare il proprio house style e riscriverlo, riadattarlo a qualsiasi tipo di esigenza. Ogni elemento è al servizio dei personaggi, si è detto: non a caso registi e scenografi immaginano per Robyn un mondo – quello della città – composto da linee nette, figure spigolose e alte mura squadrate, una gabbia in cui sentirsi prigionieri. La magia avviene invece nella foresta, la casa dei Wolfwalkers, dove la linea è libera, selvaggia, non esistono contorni definiti, persino i personaggi sfuggono alla loro stessa dimensione con “smatitate” e tratti grafici sporchi, lontanissimi dalla perfezione di un’animazione pulita e rigorosa e proprio per questo bellissimi. Nel momento in cui è più necessario, Cartoon Saloon si libera dei vincoli che volente o nolente, per ragioni estetiche o di budget, imponeva al proprio house style: persino la character animation regala a Robyn e soprattutto a Mebh un’espressività del tutto inedita, spinta all’estremo nei momenti più drammatici, come mai avevamo visto prima da questo studio.
E un’ultima citazione, infine, per il modo in cui questi geniali artisti hanno reso l’uso della falsa prospettiva un marchio di fabbrica. Non è la prima volta che li vediamo ricorrere a questa soluzione grafica vagamente ispirata a Richard Williams, ma ogni volta è una meraviglia, e ogni frame di Cartoon Saloon meriterebbe un museo.
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