Durante la prima giornata di Lucca Comics & Games 2016 abbiamo incontrato l’autore Claudio Sciarrone in occasione dell’uscita della nuova saga di PK, Il ritorno di Xadhoom.
Ecco cosa ci ha raccontato sul suo metodo di lavoro, sul papero mascherato e sulla nuova storia in anteprima a Lucca.
Com’è lavorare a un personaggio come Pikappa, specialmente adesso che sta vivendo la sua rinascita?
Il mio maestro è stato Gian Battista Carpi, creatore della parte visiva di Paperinik. Allora ci disse, essendo noi come suoi figli mentre stavamo lavorando a Pikappa: è roba vostra, fate quello che volete. Alla faccia di quello che si dice sui maestri, che sono arcigni e gelosi delle proprie creazioni. Io quell’eredità lì la sento, anche perché lui aveva una visione imparagonabile a qualunque altro autore. Questo revival così dirompente a me sinceramente sorprende forse più di allora: vedere a distanza di anni che un impianto in un certo senso datato (perché comunque si parla di una cosa di vent’anni fa) è così solido da riacchiappare non solo i vecchi lettori ma anche i ragazzini è impressionante. Oltretutto ora sta avendo un grande successo anche in America.
Sto affrontando le nuove saghe come una sceneggiatura di Topolino moderna: mi dicono che Pikappa è il mio attore, io lo prendo, vado sul set, lo metto in posa e creo. Non dico di fare finta che non esista il Pikappa di tanti anni fa, ma sicuramente se non facessi altro che continuare a guardarmi indietro sarebbe solo una lotta con me stesso, un tentativo di superarmi… Tant’è che anche gli ambienti sono nuovi, comprimari certo, ma rispiegati a gente che non ha mai letto niente della saga di una volta, quindi come se fosse il giorno uno.
C’era il timore che la gente dicesse di non interessarsi della roba vecchia, o che comunque potessero lamentarsi che “prima era meglio” sia per le storie che per addirittura il tipo di carta su cui si stampa, ma il fatto che vengano a chiederci l’autografo vuol dire che il personaggio è più vivo che mai.
Visto il tuo stile molto particolare, come ti approcci a personaggi che non sono Pikappa?
È un mistero, nel senso che io non credo di avere uno stile particolare. Ci sono molti altri con uno stile più riconoscibile del mio: si vede che nella mia non riconoscibilità sono riconoscibile.
La mia è una sintesi non di maniera, non mi innamoro del tratteggio o dell’effetto, penso proprio a raccontare una storia nella maniera più semplice possibile. Avendo avuto esperienza nel campo dei videogiochi e dei cartoni animati, so bene che l’altezza dei personaggi durante un dialogo televisivamente deve essere pari, campo controcampo. Questa e altre piccole regole cerco di applicarle anche nel fumetto. Carpi mi diceva che i personaggi sono l’ultima cosa: prima devi pensare a portarli sul set con una scena già in mente come se fossi anche uno scenografo. Può capitare che lo sceneggiatore non tenga conto dell’ambientazione, ma se strutturi bene tutto quanto ogni cosa diventa più realistica e di conseguenza anche il personaggio lo è. Se sai che la tua storia ha una scena cupa, sai anche che se la fai avvenire accanto a una finestra come fonte di luce, le ombre verranno allungate e quindi tutto avrà una diversa serie di effetti. Pensare da scenografo è importantissimo, poi lo stile del personaggio va di conseguenza. Devi essere attore e regista.
Artibani diceva che non esistono storie per bambini o per i grandi: esistono solo belle storie o brutte storie. Hai in mano il cast più grande del mondo, personaggi che hanno interpretato i ruoli più disparati: sei tu che devi dire loro cosa fare, anche secondo la tua esperienza.
È bellissimo il mondo del fumetto realista, però il realismo ti vincola. I paletti sono la coerenza con il personaggio, però da una roba medievale fino a Pikappa Paperino ha fatto qualunque cosa, ha sdoganato tante cose.
Puoi parlarci di come riesci a fondere il disegno tradizionale alle nuove tecniche digitali?
Io credo che se in realtà non avessi detto che molte delle mie cose sono fatte in digitale, nessuno se ne sarebbe accorto. Sto sporcando ulteriormente il segno per far capire che c’è della materia. Sì, il segno è digitale, ma io uso la mia mano per crearlo. Ho aggiunto comunque problematiche in più perché le ombre e gli effetti sono cose che prima rimandavi a un secondo momento. Se risparmio tempo da una parte, dall’altra lo uso per questa ulteriore sperimentazione. In realtà, anche prima, quando facevo a mano, facevo il layout su un piano luminoso e inchiostravo sul cartoncino, saltavo proprio il passaggio della matita, principalmente per mancanza di tempo, a volte ho creato dei Pikappa in meno di un mese e così ho imparato a non disperdermi. In digitale è diverso, certo, perché puoi sempre cancellare fino all’ultimo momento: io lavoro con i fondali su un livello e i personaggi su un altro e poi faccio una maschera di quel personaggio per cui il fondale è quasi sempre intero e quindi posso spostare il personaggio fino all’ultimo momento, così che sulle copertine, con i problemi derivati dall’impaginazione, in redazione si può sempre prendere e cambiare qualcosa. È qualcosa che dà più libertà alla catena produttiva.
Per quel che riguarda la tavola a fumetti, credo sia principalmente una questione di percepito: abbiamo fatto lavori per altri editori e senza dire che erano lavori digitali. Quando mi hanno chiesto di vedere gli originali ho semplicemente detto che non esistevano! Gli sembravano delle bellissime scansioni, insomma… una riprova che fa vedere che è solo una questione di percepito secondo me.
Se sanno che è in digitale ti dicono per principio che è fredda, anche perché credono che tu premi un tasto e si crea tutto da solo. Io neanche le orecchie di Topolino faccio usando lo strumento cerchi perché ormai è una questione di mano, è tecnica. Se ho bisogno di simmetria, disegno una metà e poi sdoppio l’immagine, ma anche lì, siccome noi non siamo simmetrici il disegno sembra irreale, quindi alla fine lo modifico sempre.
Ci puoi dare qualche anticipazione sulla nuova storia in anteprima a Lucca?
Ritorna Xadhoom, ma più che altro è come ritorna, per quello che succede. Ci sono gli Evroniani, ma ce ne saranno anche di nuovi, ma non posso dire nient’altro anche perché è una cosa che si comprende solo leggendola.
Quello che posso dire è che è un percorso iniziato con Artibani e Sisti che si sono confrontati, e anche con la prossima storia di Pastrovicchio e Artibani si prosegue un discorso che nel futuro si intreccerà al precedente. Cominceranno a essere disseminate delle cose in modo che questi universi si ricolleghino. Pastrovicchio ha programmato questa cosa fino al 2020, ma sarà tutto coerente. Sia Artibani e Pastrovicchio stavano elaborando embrioni di idee su due universi separati ma che alla fine avevano una componente simile. Abbiamo visto che poteva collidere e allora abbiamo detto “Sì, facciamolo!”
Per personaggi nuovi inseriti, per sviluppi narrativi già fatti e bozzetti, per ora la paternità è in mano nostra, ma poi si vedrà.
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