Non molti artisti nell’industria dell’animazione possono permettersi di essere riconoscibili a colpo d’occhio come Jorge Gutierrez. Fin dai tempi della serie El Tigre, per arrivare poi al suo primo lungometraggio Il Libro della Vita, il regista messicano si è imposto come una figura ostinatamente intenzionata a non scendere mai a compromessi sulle caratteristiche narrative e visuali della sua poetica.
Questo significa, fondamentalmente, che nel vedere il suo nome tra i titoli di testa tenderemo a voler ritrovare nell’opera un elenco ben definito di elementi a cui l’artista ci ha abituato: il trionfo della cultura messicana con una strizzata d’occhio al mondo pop, una certa comicità over the top e zany, character design particolarmente elaborati e ricchi di dettagli, personaggi concepiti come pupazzi e animati come se fossero in stop motion e infine la tematica di amore e morte che vanno a braccetto, in una sorta di danza macabra che proviene dal background culturale dell’autore.
Tutto questo e molto di più è Maya e i tre guerrieri (Maya and the Three), la nuova serie originale che Gutierrez ha realizzato per Netflix, senza dubbio il suo progetto più ambizioso sotto tutti i punti di vista e un vero e proprio gioiello di cui la piattaforma streaming potrà vantarsi a lungo.
Bisogna tornare indietro a Klaus o Into the SpiderVerse per ritrovare un progetto animato della stessa portata, un progetto cioè in grado di restituire un tale livello di coesione tra le sue parti. Maya è un organismo in cui ogni elemento, giù giù fino al più piccolo dettaglio, recita perfettamente il proprio ruolo, servendo la storia in maniera così poco invasiva da permettere facilmente alla stessa di diventare molto più della somma delle sue parti. È merito della solida, solidissima visione di Gutierrez, ovviamente: una visione che permea ogni aspetto di questa produzione, e che è stata molto ben recepita da un team evidentemente di alto livello e da uno studio ben disposto a concedere la giusta dose di libertà creativa. Quando tutti i pianeti si allineano in questo modo il risultato non può che essere ottimo: filmmaking di altissima fattura, quello a cui lo spettatore può affidarsi con serenità, confidando che le proprie aspettative non verranno tradite.
La serie è ovviamente una meraviglia per gli occhi, che si riempiono dei design stravaganti di Gutierrez e degli elaborati scenari dei quattro regni, oltre che delle ottime animazioni del – purtroppo compianto – studio canadese Tangent Animation. L’estetica brilla anche grazie a una scelta felice in termini di scrittura, ossia il recupero dell’essenzialità del mito. Maya e i tre guerrieri è un Signore degli Anelli mesoamericano, c’è una quest, c’è un’epica guerra; l’azione non manca e c’è molto a cui assistere. Eppure si tratta pur sempre di un mito, che in quanto tale si potrebbe facilmente riassumere in poche righe: sono proprio queste le storie che resteranno senza età, perché una storia essenziale ma inattaccabile lascia ampio spazio all’estetica, all’arte, alla recitazione dei personaggi e dunque all’empatia e all’immedesimazione.
E di certo non mancano momenti per “patire con” questi outsider diventati improbabili eroi. Jorge Gutierrez non ci risparmia nulla, trovando il modo appropriato per mostrare anche agli spettatori più giovani la sofferenza in tutte le sue forme: il tradimento che subisce Maya, la discriminazione vissuta da Rico e Chimi, la colpa e il rimpianto che si porta dentro Picchu, la morte, regina benevola del destino di tutti i personaggi, ma anche il dolore fisico, le ferite, le ossa rotte e la perdita degli arti, conseguenze inevitabili di ogni guerra. Amore e morte sono una cosa sola, in questa epica avventura di umani e dèi, e questo è esemplificato soprattutto dalle figure femminili: mogli, madri, sorelle, compagne, amano disperatamente e proprio per questo sono le più feroci in battaglia; un punto di vista di rara bellezza, in un’epoca di principesse single che per poter impugnare una spada devono prima dimostrare di non aver bisogno di nessuno. Emblematico il momento in cui la madre di Maya, la regina Teca, sceglie di andare in guerra nonostante sia incinta, per proteggere la figlia, il suo popolo e il nascituro. C’è qualcosa di ancestrale in questa rappresentazione delle donne come creature in grado di donare amore e morte allo stesso modo, una scelta che rende Maya e i tre guerrieri anche la testimonianza di un potere che siamo state costrette a sopprimere, e che questa serie recupera con grande deferenza.