Orion è un fifone. È così che si presenta agli spettatori: con un’infinita lista di ansie e paure, che vanno dal parlare con la compagna di classe che gli piace ai clown assassini, passando per cadere da un dirupo, essere esposto alle radiazioni, essere punto dalle api, intasare il bagno… Qualsiasi cosa lo terrorizza, ma ciò che teme più di tutto è l’ignoto, il buio che lo avvolge nella sua stanza ogni sera prima di dormire. Sembra l’inizio di una favola della buonanotte (e in effetti la fonte originale – un libro illustrato di Emma Yarlett – lo è), ma questa storia semplicissima ha avuto la fortuna di passare per le mani di Charlie Kaufman trasformandosi in Orion e il buio, il primo film d’animazione degno di nota dell’annata 2024.
Occorre ricapitolare in breve la storia produttiva “anomala” di questo valido cartoon, prodotto da DreamWorks Animation ma approdato direttamente su Netflix. Si tratta del titolo apripista di un nuovo modello di business che la casa di produzione di Jeffrey Katzenberg adotterà nei prossimi anni, con l’intenzione di contare sempre di più sul contribuito di studi esterni, invece che realizzare tutto in house. Per Orion e il buio la scelta è ricaduta sul francese Mikros Animation, con cui DreamWorks aveva già collaborato in precedenza per Capitan Mutanda. Il piccolo studio europeo gestisce assai bene questo progetto (presumibilmente) a modesto budget, regalandogli cura e personalità. Sono degni di nota soprattutto gli effetti visivi, che comprendono piccole sequenze in stile 2D, e chiaramente l’illuminazione, lo studio della luce e del buio, elementi fondamentali di questa vicenda. I personaggi risultano invece più limitati nei modelli e nell’espressività: sono, di fatto, “pupazzetti” in CGI piuttosto convenzionali (e non sempre dal design particolarmente accattivante), seppur adeguati alla storia narrata.
È tuttavia senza alcun dubbio lo script di Kaufman il punto forte di Orion e il buio. Innanzitutto perché racconta tantissimo servendosi di pochi elementi essenziali, combinati con estro e creatività. È una lezione che accomuna questo film ad Up e altre grandi opere di Pete Docter, tutte un trionfo di personaggi strampalati tenuti insieme per miracolo, storie semplici che diventano epopee, problemi quotidiani che fanno da specchio a profonde esperienze collettive. La vicenda di Orion non è complessa, dopotutto: è un bambino che attraverso un’esperienza soprannaturale, un po’ alla Alice o Wendy Darling, impara a domare la sua paura del buio. È tutto qua… finché non lo è più, perché Kaufman a un certo punto delinea una cornice. E questa cornice diventa un’introduzione alla metanarrazione, moltiplicando i livelli di interpretazione e creando un mosaico di notevoli sottotesti: accanto al timore dell’ignoto ci sono quindi la rivalsa degli emarginati e forse dei neurodivergenti, la cura della salute mentale, persino un’ode agli introversi, a coloro che trovano sé stessi nella contemplazione del silenzio.
Si fa un gran parlare, forse nello sciocco tentativo di nobilitarli, di film d’animazione dai “temi maturi”, al punto che quando al cinema arrivano titoli mediamente più complessi come Soul, Inside Out o il Pinocchio di Del Toro ci si affretta a ribadire che non si tratta affatto di film per bambini e che piaceranno soprattutto ai loro genitori. Ecco, Orion e il buio invece sceglie i bambini come pubblico privilegiato, ma con una chiave di lettura del tutto sorprendente: sostituendoli all’autore.
Kaufman non mette in dubbio neanche per un istante che essi siano in grado di elaborare “tematiche mature” (c’è anche un’impressionante sequenza in cui il piccolo protagonista parla a ruota libera della paura della morte), e tuttavia non è questo il rispetto che osserva nei confronti della sua audience. No. Questo è un film in cui a un certo punto lo scrittore si arrende, posa la penna e ammette una verità scomoda: qualsiasi sceneggiatura scritta da un adulto impallidisce di fronte al potere della creatività dei bambini. Ammette che le vere storie, quelle che vengono tramandate di generazione in generazione, sono quelle che ricordiamo dall’infanzia. Che come adulti possiamo anche cercare in maniera maldestra di riprodurle, ma la vera forza generativa della narrazione si nasconde proprio in quei racconti caotici, che procedono per associazione, in cui tutto è possibile e non c’è alcuna conseguenza logica tra causa ed effetto. E in ultimo, che lo storytelling dei bambini ha un peso, un impatto, può cambiare vite, guarire paure, sanare ansie. Orion e il buio mette in scena il loro linguaggio, narra in maniera disarticolata, priva di coerenza, senza alcun limite logico e razionale, e rispetta i bambini nel miglior modo possibile: esaltandone il potere in quanto narratori.